City Of Wind, la recensione | Festival di Venezia

Nella capitale della mongolia (City of Wind) dei ragazzi cercano l'amore, truffano altre persone e in ultima analisi vivono sentimenti intensi

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di City Of Wind, il film mongolo in concorso nella sezione Orizzonti alla Mostra del cinema di Venezia

Un uomo può cadere ma anche un argine può sgretolarsi!!” è con frasi come questa che a un certo punto un amico del protagonista di City Of Wind cerca disperatamente di perorare la sua causa agli occhi di una professoressa inflessibile e rigida. Siamo a metà film ed è successo che nella sua vita è entrato un amore imprevisto, il primo, che ha sconvolto tutto. Da che era un secchione ora si tinge i capelli, fa a botte in classe per difendere gli altri e non sa più che pesci prendere. Siamo in un teen movie sciamanico mongolo, ed è bellissimo. A dare il twist sciamanico a questa storia ci pensa il fatto che questo ragazzo arrotondi intercedendo per uno spirito, pagato dalle persone che vogliono protezione o conforto, lui va a casa loro con la sorella, si traveste e parla per l’essenza. Dice di sentire le sofferenze altrui davvero, ma una volta la figlia di una donna che l’ha convocato lo accusa di essere un truffatore. E lui in risposta se ne innamora.

Tutto quello che di solito c’è di formulaico e convenzionale nei teen movie a cui siamo abituati (cioè più che altro quelli americani) in questo è sostituito dal caos imprevedibile della vita vera. Così succede che questo amore si manifesti in luoghi strani, nei corridoi di un’ospedale, in cima a un tetto in una festa di capodanno o in una fenomenale scena vicino a una vasca da bagno mentre i due ragazzi si stanno tingendo i capelli, con silenzi, esitazioni e sguardi che sono chiarissimi. Ed è davvero molto bello come la regista Lkhagvadulam Purev-Ochir scriva e diriga un film così delicato su un ragazzo che scopre se stesso. Un film, a dire la verità, che ricorda i migliori film cinesi su amore e città, anche se siamo in Mongolia e anche se spesso più che la città c’è la campagna; uno che in pugno di scene diverse, scene di vita ordinaria, riesce a unire benissimo l’essere giovani e il vivere in un luogo in cui molte persone tutte insieme cercano di soddisfare i propri sentimenti.

Non c’è solo la storia sentimentale però in City Of Wind, quella è la porta per un mondo di relazioni che soffrono a manifestarsi. La medesima sensibilità che porta il protagonista a “sentire” le sofferenze altrui quando indossa il suo costume sciamanico e a pagamento interpreta o intercede per continuo di uno spirito, lo spinge in una scena struggente a interpretare lo spirito del nonno defunto per suo padre, sofferente e stordito. C’è in momenti come questi il segreto della lingua universale del cinema, quella parlata dai film migliori di tutto il mondo: cioè la capacità di trovare quegli attimi che, a prescindere dalla cultura e dalla nazionalità, suonano ordinari e quotidiani la manifestazione pratica dell’interiorità delle persone. Gesti, piccoli sguardi e nei casi più clamorosi anche dei crolli emotivi che spiegano non solo cosa provino quei personaggi ma anche, per intercessione cinematografica, cosa proviamo noi.

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