City Hunter: Private Eyes, la recensione

City Hunter: Private Eyes riporta in scena Ryo Saeba con un film con poco coraggio che si adagia sulla nostalgia battendo strade fin troppo note

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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In modo non troppo dissimile da quanto avviene con molti franchise occidentali, anche l'animazione giapponese sta attraversando un periodo in cui si lascia andare alla nostalgia, riportando al Cinema personaggi che il pubblico ha imparato ad amare ormai qualche decennio fa. Sulla scia di queste operazioni torna in azione anche lo sweeper Ryo Saeba, protagonista di City Hunter, il celebre manga di Tsukasa Hojo.

Sono passati vent'anni esatti dall'ultima avventura del personaggio, il lungometraggio animato Arrestate Ryo Saeba!; da allora non è stato realizzato alcun prodotto legato alla serie principale, con l'unica apparizione dei protagonisti relegata al manga e all'anime Angel Heart, sequel ambientato in un futuro parallelo.

City Hunter: Private Eyes va dunque a interrompere un'astinenza durata fin troppo a lungo, e, grazie a Nexo Digital, per la prima volta anche il pubblico italiano può godersi una storia di Ryo e compagni nel buio della sala cinematografica.

Non siamo più negli anni Ottanta, e ciò è evidente nel film: niente più lavagna di Shinjuku per lasciare richieste d'aiuto ma un'app dove scrivere un XYZ virtuale, mentre cellulari e droni sono ormai oggetti di uso comune. Così come per i personaggi dei fumetti Disney, i Simpson o Lupin III, il mondo circostante si evolve ma i protagonisti di City Hunter non sono invecchiati di un giorno, riuscendo ad attraversare incolumi lo scorrere del tempo. Il character design ci restituisce il protagonista delle prime storie, con quel fisico snello e agile che nel corso degli anni aveva lasciato spazio a una figura più squadrata.

Il tempo, però, sembra non essere trascorso neanche negli studi d'animazione e al tavolo degli sceneggiatori: il film sembra un episodio allungato dell'anime originale, con un ritmo e un senso della narrazione immutati, come se il regista Kenji Kodama (che aveva già diretto le serie televisive e i primi lungometraggi) fosse rimasto rinchiuso in un bunker finora, uscendone per proporre un prodotto dal sapore vintage. C'è persino un robot domestico in grado di riportare alla memoria il famigerato maggiordomo elettronico di Paulie in Rocky IV, un vero e proprio residuato di umorismo d'antan.

"Un film con poco coraggio che si adagia sulla nostalgia battendo strade fin troppo note."Tutti - ma proprio tutti - i tormentoni e le gag caratteristiche della serie vengono riproposti per la gioia dei fan, ma senza un adeguato senso della misura, finendo per rubare troppo spazio allo sviluppo di una trama solida. Le situazioni sono ben familiari a chi conosce i personaggi e c'è veramente poco di nuovo: siamo di fronte a un film con poco coraggio che si adagia sulla nostalgia battendo strade fin troppo note.

Manca quella sensazione di grandeur, di racconto epico di più ampio respiro che è legittimo aspettarsi da un'avventura cinematografica, rispetto a quelle televisive: l'antagonista è privo di carisma e porta avanti un piano banale, mentre le scene d'azione nel climax sono intaccate da una computer grafica che si integra male con i disegni realizzati tramite l'animazione tradizionale. Il principale elemento di straordinarietà del film è un team-up intrigante ma non sfruttato al meglio, il quale avrebbe potuto rappresentare una gustosa sorpresa se non fosse stato sbandierato durante la campagna promozionale.

City Hunter: Private Eyes è quindi un prodotto completamente da buttare? No, ma è un more of the same che si contraddistingue soprattutto per la qualità delle animazioni, in linea con gli standard visivi attuali, quindi decisamente superiori al comparto tecnico dei capitoli precedenti. È certamente l'occasione per ritrovare dei vecchi amici, ma non offre molto di più. La storia non affronta nemmeno la relazione tra Ryo e Kaori, il vero fulcro della serie, restando quindi in superficie e non immergendosi negli elementi che avevano decretato il successo del manga e dell'anime.

Tra i tanti alzabandiera del protagonista, forse questa volta sarebbe stata meglio una bandiera bianca.

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