Cosa impariamo della
City Hall di Boston dopo 4 ore e mezza del documentario di
Frederick Wiseman? Apparentemente tutto. O almeno, gran parte delle cose. Perché se c’è qualcosa che caratterizza il cinema di Wiseman è la sua esaustività – che non è quasi mai sinonimo di estenuazione, nonostante i lunghi tempi – e il suo amore folle per la rappresentazione delle comunità. E se c’è qualcosa che definisce la riuscita o meno dei documentari di Wiseman non è l’aspetto estetico, che è invece sempre uguale a sé stesso, un vero e proprio marchio di fabbrica (le riprese dei discorsi degli addetti ai lavori o dei comuni cittadini, precedute dalle visioni degli edifici in cui lavorano, a costruirne il buon vecchio “piano d’ambientazione”, insieme alla glorificazione di gesti microscopici che hanno la forza ironica del realismo esagerato): ma è il semplice oggetto di interesse.
Diversamente però da Ex Libris - The New York Public Library e da Monrovia, Indiana (presentati anch’essi a Venezia negli anni scorsi), City Hall sembra perdersi un po’ troppo nei labirinti di una grande città, troppo grande per essere resa nel suo essere un ecosistema complesso. E sebbene i tempi del documentario illudano su questa resa enciclopedica l’impressione è che di Boston e dei suoi servizi comunali non abbiamo davvero visto abbastanza. O almeno, non quello che davvero poteva essere interessante o significativo (nel mondo in cui Wiseman sa essere significativo).
Perché il cinema di Wiseman è fatto anche, e soprattutto, di particolari memorabili, disseminati nel lungo testo e quasi a scandirne il ritmo, l’identità; della sorpresa del reale, analizzato nei suoi meccanismi più particolari ma che con la forza della metonimia più geniale ti spiegano esattamente cosa vuol dire vivere in quel piccolo mondo.
City Hall sceglie invece di dedicarsi troppo al discorso, riprendendo tantissime apparizioni pubbliche del sindaco democratico Marty Walsh e forse oltrepassando la sottile soglia tra il mostrare e l’approvare; ci sono poi continui dibattiti negli uffici del comune, nelle diverse associazioni cittadine, nelle commemorazioni. In questo gran parlare, che pure è sempre stato molto presente nel suo cinema, Wiseman sembra dimenticarsi del resto: dei gesti, degli eventi, dei profili umani.
City Hall, nonostante la sua grande verbosità, ha comunque un ritmo inspiegabilmente piacevole. E se nell’affrontare la lunga durata il primo pensiero può essere quello del vero e proprio terrore, Wiseman accoglie invece lo spettatore a braccia aperte e lo trasporta nel suo piccolo/grande mondo. Un mondo, quello reale, che sembra un mondo giocattolo, dove anche le cose brutte diventano problemi facilmente superabili e da cui, una volta finita la visione, ci sentiamo in qualche modo rassicurati.