Citation, la recensione

Sebbene a volte si confonda nei suoi stessi flashback, a volte sia troppo ingenuo, e forse sia troppo edulcorato nella forma, Citation però ha comunque dalla sua la forza di una storia ben raccontata, equilibrata nei tempi e nei toni – che se non è memorabile, è sicuramente degna di nota.

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Ispirato al documentario BBC della serie Africa Eye Sex for grades, testimonianza degli abusi e delle molestie dilaganti nelle aule universitarie africane (in particolare di Ghana e Lagos), Citation di Kunle Afolayan, una produzione invece totalmente nigeriana, usa gli strumenti della fiction per imbastire una storia di riscatto con ambizioni che vanno oltre i suoi confini geografici.

La storia è quella di Moremi (Temi Otedola), una ventunenne talmente brillante nei suoi studi di scienze politiche da essere già iscritta a un master nonostante la sua giovane età. Moremi è determinata, vuole fare la differenza, e sogna di lavorare all’ONU per poter riscattare chi soffre, chi non ha una voce. L’arrivo dell’affascinante professore Lucien N'Dyare (Jimmy Jean-Louis) scombina tutto, facendola ritrovare in un incubo, che è anche un ben poco ironico paradosso: la predilezione del professore nei suoi confronti, se inizialmente sembra motivata solo dalla bravura della ragazza, presto prende la strada della molestia, poi dell’aggressione, costringendo Moremi a diventare davvero un simbolo, ma, suo malgrado, di una lotta che non pensava avrebbe mai combattuto.

Racchiuso, come in uno scrigno di cristallo, in un’estetica fin troppo rassicurante, fatta di spazi e volti sempre ben illuminati, leggibili, totalmente visibili, Citation nonostante le apparenze riesce a non cadere troppo (anche se alla fine proprio non si trattiene, e un po’ lo fa) nello slogan scritto con l’indelebile, urlato addosso. Se Citation ha un merito è sicuramente quello di non sacrificare mai l’umanità dei suoi protagonisti: questi sono infatti dipinti con mille difetti, incappano in numerosi errori di valutazione, si dividono quando dovrebbero aiutarsi... insomma, a noi che sappiamo dove il film vuole arrivare possono sembrare estremamente ingenui. Ma, proprio per questo, ci rendiamo conto di quanto sia difficile essere lucidi, o vederci lungo, in situazioni del genere. Allora la loro ingenuità diventa ancora più dolorosa, e il realismo si insinua nel panorama irreale da cartolina, rendendola più profonda, più prospettica. Più vera.

Dall’altra parte il film, non avendo quasi niente in termini di autorialità (che, ricordiamo, non è un obbligo – è semplicemente una scelta di campo) si piazza esattamente a metà tra due estremi, con il risultato di non essere né una nell’altra cosa. Una mancanza di coraggio? O una mancanza di calcolo? Laddove infatti il film sembra imbarcarsi nello studio del personaggio, ecco che la logica del racconto bussa alla porta, e allora via con un evento che deve portare avanti la trama verso la sua risoluzione: non c'è tempo per approfondire. Ed è un vero peccato. Per quanto ben seminati e inaspettati siano gli indizi che portano Moremi a capire come annientare il suo avversario, questi indizi e queste rivelazioni sul passato dei protagonisti non possono che perdere la loro efficacia se alle loro spalle non vi è una motivazione personale - non solo umana.

L’unica scelta caratteristica e pienamente efficace, in termini formali, è quella del montaggio: il film parte dall’udienza nel Senato Accademico in cui il professore viene interrogato, che è la cornice del film, ed è costituito da una serie di flashback che ripercorrono la vicenda. Ad ogni bugia del professore viene mostrato allo spettatore il fatto reale, la verità, sempre a favore della ragazza. Moremi però non parla mai: si costruisce così la tensione del voler sapere se chi giudica riuscirà prima o poi a visualizzare quello che lo spettatore ha già visto, ha già giudicato. Ma la risposta arriverà solo alla fine.

Sebbene a volte si confonda nei suoi stessi flashback, a volte sia troppo ingenuo, e forse sia troppo edulcorato nella forma, Citation però ha comunque dalla sua la forza di una storia ben raccontata, equilibrata nei tempi e nei toni – che se non è memorabile, è sicuramente degna di nota.

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