Citadel: Diana (stagione 1), la recensione: uno spinoff migliore per intreccio e intrattenimento
Lo spin-off si concentra su alcune riflessioni che nella serie madre erano solo abbozzate, rende la storia più appassionante ma perde forza quando dona spessore ai suoi personaggi
Partiamo da Citadel, la serie madre. Dalle prime scene, la sensazione era di avere davanti a sé automi più che umani, freddi e implacabili, in sintonia con la forma dello show, che propone un elenco di topoi e luoghi comuni della spy story in una confezione tanto lussuosa quanto algida (nonché dalle scarse doti dei suoi due attori protagonisti, Richard Madden e Priyanka Chopra). Personaggi standard in un'operazione standard che fa del digitale la propria arma principale. Un aspetto di cui però i realizzatori non sembrano accorgersi, puntando forte su un'atmosfera seriosa e lasciando questo spunto ai viaggi mentali dello spettatore (agevolati dalla non brillantezza della storia).
La trama della serie
Milano, 2030: otto anni fa l’agenzia indipendente di spionaggio Citadel è stata distrutta da una potente organizzazione rivale, Manticore. Da allora, Diana Cavalieri (Matilda De Angelis), spia di Citadel sotto copertura, è rimasta sola, intrappolata tra le linee nemiche come infiltrata in Manticore. Quando finalmente le si presenta l’occasione di uscirne e sparire per sempre, l’unico modo per farlo è fidarsi del più inaspettato degli alleati, Edo Zani (Lorenzo Cervasio), l'erede di Manticore Italia e figlio del capo dell’organizzazione, Ettore Zani (Maurizio Lombardi), in lotta per la supremazia contro le altre famiglie europee.
Un ibrido di diversi elementi
La protagonista Diana è il prototipo della moderna eroina bessoniana, tra Nikita e Lucy. Ragazza che dal nulla diventa un corpo indistruttibile, un'arma per i capi uomini che la usano per i loro piani, fino a quando sarà lei a liberarsi dalla sudditanza prendendo in mano la situazione. Da Nikita (e dai molti titoli derivati), Citadel riprende le lunghe sequenze di addestramento, oltre a inserire alcune scene con una forte color correction blu. Come la serie madre, infatti, lo spinoff propone alcuni elementi base del genere di riferimento senza molte variazioni. La novità però è che lo ibrida con altri spunti.
Un approfondimento dei personaggi dannoso
Quello che ancora non convince dell'operazione è il versante dei personaggi. Il fatto di averli poco caratterizzati può essere utile in un intreccio molto forte, in cui appaiono come funzioni del racconto. Così in Citadel: Diana li sentiamo proclamare frasi altisonanti, sentenze ad ogni discorso, con un tratteggio deciso e poco definito, specchio della forma dell'operazione e del contesto in cui la storia si ambienta. Tutti sembrano esseri artificiali, la protagonista come gli uomini potenti con cui ha a che fare, in simbiosi con gli strumenti che utilizzano. Peccato poi che emerga la necessità di donare loro spessore, un fattore nocivo.
A differenza dei suoi modelli, Diana è infatti capace di provare sentimenti che, repressi per lungo tempo data la natura della sua attività, riaffioreranno nel corso delle vicende, con l'obiettivo di renderla figura con cui empatizzare. Non mancheranno poi parentesi intimistiche, che via via si fanno più frequenti, e neanche la consueta backstory da scoprire a mano a mano. Aspetti che comunque restano in superficie, senza grande approfondimento psicologico né grandi sfumature. Nel mondo di Citadel le intenzioni dei protagonisti possono essere ambigue, ma invece è ben definita la divisione tra buoni e cattivi, così quella tra personaggi principali e secondari, lasciati troppo sullo sfondo.
Nel suo formato agevole (sei episodi da 40 minuti circa), nel suo rifarsi a più influenze, nelle sue riflessioni sotterranee, Citadel: Diana risulta comunque un prodotto apprezzabile e sicuramente migliore della serie madre.