Cirque du soleil: Mondi lontani 3D, la recensione

La versione filmata in 3D di diversi spettacoli del Cirque du Soleil non riesce a trovare una vera dimensione cinematografica alle idee e suggestioni della compagnia...

Critico e giornalista cinematografico


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E' stato scelto Andrew Adamson, autore di diversi capitoli delle saghe di Narnia e Shrek (alcuni dei quali in 3D), per portare al cinema la 35esima versione audiovisiva degli spettacoli del Cirque du soleil, la prima dal 1988 a oggi a essere girata in tre dimensioni.

Mondi Lontani contiene in sè coreografie e trovate da almeno sette tra gli spettacoli che la compagnia ha messo in scena negli ultimi anni a Las Vegas, tutte unite tra di loro da una trama che vede una ragazza, innamoratasi di un trapezista, inseguire questi in una specie di viaggio nei mondi del titolo. Ognuno di questi mondi è un tendone dentro il quale la ragazza viene coinvolta nelle coreografie, fino all'ultimo, nel quale lei e il trapezista saranno i protagonisti.

Come nei musical di una volta, le coreografie e le musiche disegnano un altrove, un mondo diverso nel quale lo spettatore è condotto attraverso lo sguardo di una protagonista, anch'essa viaggiatrice occasionale ed estranea a ciò che vede accadere. Questa volta però, con un salto interpretativo, il "mondo altro" dovrebbe essere anche quello del 3D, per la prima volta impiegato in un film del Cirque du soleil e in teoria molto utile a rendere la dimensione spaziale delle coreografie della compagnia.
Eppure, nonostante la consulenza di James Cameron, l'effetto tridimensionale è impalpabile. Non che non ci sia, ma i frequenti sfondi neri, la poca profondità del campo e la totale mancanza di una "pianificazione della prospettiva" nelle coreografie (che giustamente non sono fatte apposta) non rendono giustizia a quel che poteva essere un film in 3D sul Cirque du soleil.

La compagnia da sempre realizza complesse coreografie che poco hanno a che vedere con il circo (se non una certa estetica di riferimento) e più si collocano nella performing art, indagando maniere inedite e spettacolari attraverso le quali dei corpi occupano degli spazi (fenomenale quella con il cubo vuoto agitato dal trapezista).

Tutto ciò è però assente dal film, che pur dilungandosi in alternanze tra piani ravvicinati e grandi totali non riesce a restituire quest'idea o a costruirne un'altra.
Se nessuno ha anche solo lontanamente fantasticato che il risultato del film potesse essere meglio di una versione dal vivo, era lecito aspettarsi almeno un'idea cinematografica, un'aggiunta che parlasse anche del modo in cui i corpi occupano lo spazio scenico e vengono usati nelle immagini. E invece...

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