Chloe - Le maschere della verità: la recensione

Ecco la nostra recensione di Chloe, la nuova serie di Alice Seabright disponibile su Prime Video dal 24 giugno 2022

Condividi
Spoiler Alert

La recensione della serie britannica Chloe - Le maschere della verità, disponibile su Prime Video dal 24 giugno 2022

Una strobosfera coperta di specchi che riflette ciò che gli altri vogliono vedere; questo il riassunto conciso ed efficace di Chloe - Le maschere della verità, serie britannica che si concentra sullo stridente contrasto tra apparenza e sostanza, realtà e finzione. Nelle sei puntate che ne costituiscono la prima e unica stagione, la creatrice Alice Seabright (Sex Education) scandaglia le insidie della vetrina dei social, specchio per le allodole che spesso cela ombre inquietanti sotto una patina di scintillio mondano.

Non a caso, la prima inquadratura che la serie ci presenta è una carrellata di post di (pseudo) Instagram, appartenenti al profilo della Chloe del titolo. A scorrere la galleria della donna è Becky (Erin Doherty), solitaria e frustrata trentenne che, di quella Chloe, fu amica d'infanzia e stretta confidente. Gli anni hanno allontanato le due ragazze, sia socialmente che emotivamente; all'esistenza dorata dell'una fa da contraltare l'avvilente mediocrità dell'altra.

Essere e non essere

La serie non perde tempo e ci presenta, sin da subito, le crepe della psiche della protagonista Becky. Profondamente insoddisfatta da una vita lavorativa grigia e gravata dal peso di una madre affetta da demenza precoce (un'eccezionale Lisa Palfrey), la giovane sfoga la propria frustrazione creando, per sé, nuove identità con cui si infiltra in eventi mondani altrimenti a lei preclusi. La menzogna è quindi strumento palese di un riscatto fittizio, autoaffermazione di facciata per chi, nella sostanza, si sente un mediocre nessuno. Becky è, ma non si piace; preferisce quindi rifugiarsi negli affascinanti non essere che conia a uso e consumo delle persone con cui si interfaccia.

Che questa dissimulazione continua trovi parziale alibi nella necessità, da parte di Becky, di scoprire cosa abbia spinto l'antica amica Chloe al suicidio, è questione tutto sommato secondaria; ciò che la serie vuole indagare non è tanto il mistero dietro la morte della donna, quanto il dramma della non accettazione di sé, filtrato attraverso la mistificazione dei social media e, più in generale, dell'ambiguità delle relazioni interpersonali. Una tematica che serpeggia attraverso tutta la stagione, accompagnata da una regia che gioca di continuo con riflessi, echi e rimandi visivi tra essere e non essere.

La maschera della normalità

Se Becky è in fuga da una quotidianità opprimente e squallida, ella scopre ben presto come anche l'apparentemente frivola Chloe celasse demoni devastanti; un inferno interiore ignorato da chi le stava attorno, incapace di vedere oltre la splendente facciata pubblica della donna. Ci vuole coraggio, suggerisce la serie, per non accontentarsi di ciò che vediamo; ci vuole coraggio per scavare sotto la superficie. Non mancano, sia nel caso di Becky che di Chloe, figure che tentano di scorgere la realtà sotto i lustrini della menzogna, ma sono casi più unici che rari.

Il dissidio interiore di Becky è esaltato dalla sensibile performance di Doherty, in bilico tra psicosi e meticolosa pianificazione. La sua è una lucida follia fatta di scelte, come verrà sottolineato nel corso della stagione. Priva dell'attenuante della necessità, Becky rischia di rovinare la propria vita inseguendo una chimera che non potrà che frantumarsi contro il muro della realtà. Ma questa farsa satura di colori rutilanti e sensazioni nuove è una luce troppo forte per non attirare il cuore di falena della protagonista, abituata alla penombra di una vita mediocre.

Alti e bassi

A fronte di un'idea di base affascinante e di una solida costruzione drammatica, Chloe manifesta un momento di debolezza in corrispondenza del quinto episodio; un avvallamento dell'interesse dello spettatore, dovuto probabilmente al tono claustrofobico della puntata. Si tratta di una fiacchezza che vale la pena sottolineare, perché corrisponde al punto di svolta in cui Becky si rende conto dell'effettiva pericolosità del gioco a cui sta giocando. Fino a quel momento, il suo nemico principale era stato il proprio disprezzo per se stessa; un nemico invisibile, eppure più interessante di qualsivoglia villain corporeo, reale o supposto che sia.

È questo un neo ampiamente riscattato dal finale, raffinatissimo nella scelta di lasciare zone d'ombra e domande senza risposta. Non importa, ci suggerisce Seabright, quale sia stata l'esatta dinamica della morte di Chloe; la sua scomparsa ha, come principale responsabile, un mondo incapace di cogliere l'essenza dell'individuo al di sotto della maschera sociale (e social). E proprio attraverso quel mezzo - i social - con cui Chloe elargiva bugie ai propri follower, ella trova tardivamente giustizia, attraverso uno stratagemma crudo e moralmente opinabile. Anche questo fa parte della bellezza di questa serie, che rinuncia a qualsivoglia comodo manicheismo per mostrare la realtà in tutte le sue diverse, talvolta contraddittorie sfaccettature.

Continua a leggere su BadTaste