Chick Fight, la recensione

Per quanto sia banale a livello di trama, Chick Fight si rivela un film non privo di attrattive, consapevole del proprio obiettivo: mettere in scena una liberazione.

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Chick Fight, la recensione

C’è qualcosa di irritante e insieme maledettamente giusto in Chick Fight, la commedia diretta da Paul Leyden al cui centro c’è il ring di un fight club al femminile. Perché Chick Fight è un film con poca voglia e altrettanta incapacità di raccontare le persone, le situazioni, i perché della sua storia, ma con tanta, tantissima volontà e pari impegno nel mostrare un desiderio, quello fisico e impulsivo del fare e farsi male per sentirsi un po’ meglio. Una liberazione fisica e mentale racchiusa in un tripudio di mero masochismo spettacolare, mai animata da odio, ma consensuale e divertita. Questo impulso il film lo comunica, semplicemente, nei momenti in cui mostra i pugni, i salti sulle corde e il sangue che schizza qua e là senza, troppi fronzoli. In quei momenti l’adrenalina diventa l’unico oggetto di interesse del film ed è proprio lì che funziona: perché ci fa scordare di tutto il resto. Proprio come succede nella realtà che racconta.

Non c’è nulla di originale nella storia di Anna (Malin Åkerman), una donna dalla vita triste, piena di sfortune e delusioni, raccontata con gli esatti cliché del loser cinematografico: senza carta igienica, piena di multe e debiti, priva di una vita sessuale. Anche la co-protagonista, la migliore amica Charleen (Dulcé Sloan), è lo stereotipo dell’amica chiassosa che fa continue allusioni sessuali. C’è di mezzo una pretestuosa elaborazione del lutto della madre, una generica voglia di rivincita, ma fatto sta che Chick Fight ingrana davvero solo quando sposta la sua attenzione altrove. Anna scopre che sua madre era la fondatrice/guru di un fight club segreto per sole donne (c’è da sorvolare anche su quanto sia poco credibile che non l’abbia scoperto prima) e, aizzata dalla voglia di ridicolizzarla dell’imbattuta campionessa Olivia (Bella Thorne), si allena e comincia a combattere. Perchè? Perchè la fa stare meglio.

Da questo momento Chick Fight raggiunge la sua dimensione, si scrolla di dosso tutto ciò che non gli appartiene e, come la sua protagonista, dopo le botte iniziali si rialza dignitoso dal ring. Questo switch purtroppo avviene a metà film, che in tutta la prima parte si butta via tra facili ironie e svolte prevedibili. Ma da quando entra in campo il coach ubriacone interpretato da Alec Baldwin (nonostante non si capisca mai perché aiuti Anna) il film cambia ritmo, capisce che non si deve prendere sul serio e si vota a un chiaro obiettivo di lotta fisica, procedendo fluido e spedito verso il suo punto d’arrivo. Istintivamente vicino alle sequenze acrobatiche di Glow, la serie sulle donne wrestler creata da Liz Flahive e Carly Mensch, Chick Fight convincenei suoi momenti di lotta, e se quasi abusa dello slow-motion riesce comunque a trovare un suo strano equilibrio dinamico, non ripetendosi nelle mosse ma creando situazioni sempre coinvolgenti.

Alla fine dei conti, Chick Fight risulta più giusto che sbagliato perché anche quando tornano le premesse drammatiche così claudicanti dell’inizio, riesce comunque a chiuderle dignitosamente, a darle un senso minuscolo (è possibile stare meglio se si fa un passo in avanti), un senso che nonostante la poca credibilità di ciò che accade chiude il cerchio senza sbavature. Non memorabile ma efficace, Chick Fight alla fine dei conti riesce ad arrivare dove vuole e, nonostante i pronostici, ne esce vincitore.

Cosa ne dite della nostra recensione di Chick Fight? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!

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