Chiamatemi Anna (terza stagione): la recensione

La nostra recensione della terza stagione della serie Chiamatemi Anna, disponibile su Netflix

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Chiamatemi Anna prosegue, con la sua terza stagione, il racconto ispirato all'opera di Lucy Maud Montgomery che, nelle mani di Moira Walley-Beckett (già autrice del sottovalutato Flesh and Bone) assume i contorni di un racconto di formazione ambientato nel passato, ma con tanti punti di contatto con la società contemporanea.
Mantenendo il suo approccio adatto a tutta la famiglia nonostante le tematiche importanti e attuali, la serie propone un nuovo capitolo della giovane Anna (Amybeth McNulty), l'orfana adottata da Marilla e Matthew Cuthbert (Geraldine James e R.H. Thomson), che sta per compiere sedici anni ed è alle prese con il desiderio di conoscere qualcosa in più sui propri genitori biologici, con gli esami imminenti, nuove amicizie e sentimenti complicati nei confronti del suo amico Gilbert (Lucas Jade Zumann). Il ragazzo sta iniziando a pianificare il proprio futuro e un possibile trasferimento all'estero per diventare un medico, aiutato anche dall'incontro con l'affascinante Winifred Rose (Ashleigh Stewart).
La vita ad Avonlea è inoltre segnata da una svolta inaspettata nella vita di Mary (Cara Ricketts), da quanto accade alla piccola Ka'Kwet (Kiawenti:io Tarbell) che viene convinta a iscriversi a una scuola religiosa che dovrebbe aiutare i membri più giovani delle comunità di nativi americani a imparare l'inglese, e a un incidente che spinge gli abitanti a riflettere sui diritti delle donne.
I dieci episodi che compongono la terza stagione di Chiamatemi Anna, che dovrebbe essere l'ultima nonostante le speranze dei fan - Ryan Renolds compreso - di ottenere un rinnovo da parte di Netflix, dimostrano ancora una volta la qualità raggiunta dal progetto. La storia di Anna permette infatti di parlare di argomenti davvero importanti come il razzismo, il lutto, l'importanza di scoprire la propria identità e conoscere le proprie origini, l'educazione come fonte di conoscenza e strumento per sfatare stereotipi e pregiudizi, il valore della creatività e del coraggio e sviluppare con attenzione i motivi per cui è importante un dialogo tra genitori e figli, evidenziando le difficoltà che incontrano tutte le generazioni nell'esprimere i propri sentimenti o comprendere le esigenze altrui.
Tra i passaggi più importanti delle puntate c'è la storia di Mary costruita alla perfezione per creare empatia e mostrare l'importanza di una comunità unita e della capacità di provare empatia nei confronti del prossimo, andando oltre i confini imposti dalla società in cui si vive. Di altrettanto impatto il duro racconto che coinvolge Ka'Kwet e i suoi genitori, vittime innocenti di una mentalità bigotta e totalmente miope per quanto riguarda il rispetto della diversità. La serie prosegue inoltre la propria riflessione sui diritti delle donne con varie sottotrame: dall'insegnante che prova a liberarsi di sgraditi tentativi di trovarle un marito alla reazione di Anna di fronte ai malvagi gossip diffusi dopo che una delle sue amiche subisce dei contatti fisici non consensuali. Con garbo e sensibilità gli autori riescono infatti ancora una volta a spiegare anche ai più giovani dei concetti complessi e rilevanti come il consenso e l'uguaglianza di genere. Assolutamente da applaudire, inoltre, le reazioni dei giovani protagonisti al tentativo di essere privati del proprio diritto di esprimere la propria opinione.

I passaggi verso l'età adulta vengono poi ritratti con bravura e i tentativi di conoscere il proprio passato permettono di portare sullo schermo la giusta dose di insicurezza adolescenziale e i dubbi degli adulti, mostrando come Marilla sia in difficoltà all'idea di vedere la figlia adottiva creare un legame con le proprie origini. Amybeth McNulty offre un'interpretazione ben equilibrata tra l'entusiasmo del suo personaggio e i momenti maggiormente all'insegna della riflessione, seguendo bene l'evoluzione di Anna che inizia a diventare adulta, pur non perdendo la naturalezza quando porta in scena l'irruenza della ragazza che in più di un'occasione ha delle conseguenze inaspettate. Uno degli aspetti maggiormente apprezzabili dello show è proprio il modo con cui si mostra quanto sia importante imparare dai propri errori e chiedere scusa a chi è stato ferito, oltre alla forza di lottare per ciò in cui si crede e stabilire un legame con chi viene ostracizzato ed emarginato.
Ben gestito inoltre il ritratto del rapporto tra genitori e figli di cui si dà spazio a numerose sfumature: dall'incapacità di esprimere liberamente le proprie emozioni alla capacità di perdonare gli errori, passando inoltre per l'incapacità di accettare le scelte dei giovani nel caso in cui vadano contro le proprie aspettative, fino ad arrivare alla tenacia e alla forza di combattere per chi si ama.
Chiamatemi Anna, durante la terza stagione, trova un ottimo equilibrio tra leggerezza (esilaranti le rappresentazioni dei primi approcci romantici tra studenti e le convinzioni errate su come nascono i bambini) e la serietà, senza però dimenticare quel pizzico di romanticismo che circonda la storia di Anna e un periodo storico in cui per comunicare bisognava ancora affidarsi ai messaggi scritti o bussare alla porta. La serie ha ovviamente dei punti deboli e alcune delle situazioni sono portate all'estremo, ritratte in modo edulcorato o piuttosto superficiale, tuttavia i difetti vengono messi in secondo piano da intenzioni nobili e dalle interpretazioni convincenti dell'intero cast.
L'epilogo chiude in modo soddisfacente il racconto, tuttavia non è difficile immaginare in che modo la storia avrebbe potuto evolversi in una quarta stagione, addentrandosi in situazioni ed eventi più adulti. Non resta quindi che attendere per scoprire se ci sarà un inatteso salvataggio o se il racconto dei giovani di Avonlea si concluderà definitivamente.

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