Chi segna vince, la recensione
Con la prospettiva giusta, l'idea giusta e il punto di vista giusto Chi segna vince riesce a mancare l'appuntamento con il bel film
La recensione di Chi segna vince, il film di Taika Waititi in sala dall'11 gennaio
A scoprire un ritmo e una filosofia diversi è qui l’allenatore della MLS (la lega professionistica di calcio americana), inizialmente depresso per questo incarico infame, in cerca di vittoria e rabbioso. Quando arriva sull’isola alla sua valigia manca una rotella, sbilenca come lui annuncia il suo problema. A contatto con la cultura rilassata e inclusiva delle Samoa Americane troverà un nuovo modo per affrontare lo sport, il concetto relativo di vittoria, e la propria vita. La prima cosa che è evidente in Chi segna vince è che il protagonista formalmente è Michael Fassbender ma in realtà il film non è su di lui. Non è il suo lo sguardo del film, anzi. Chi segna vince guarda lui come lo guardano i samoani, come qualcuno che ha sbagliato tutto, un po’ ridicolo come lo sono i bianchi che non vivono su quell’isola e da aggiustare. Che è l’idea migliore di tutto il film.
Non funzionano mai le interazioni drammatiche (uno scambio di nomi che dovrebbe svelare qualcosa di tragico è scritto per essere quasi commovente ma non lo è), non abbiamo nessuna reale ragione per tenere alle sorti dei personaggi e non c’è niente che vada più in là di “quest’isola è un purgatorio” in tutto il film. Cosa ancora più grave, nonostante sia una visione piacevole, non è mai realmente divertente e il problema non sono i samoani (di gran lunga la cosa migliore e quella con cui Waititi si è divertito di più) ma Fassbender. In questa è la sua prima commedia da protagonista non ha nemmeno un momento comico. L’umorismo è tutto intorno a lui ma non dentro di lui, la maniera in cui ne è refrattario lo fa somigliare quasi al villain della storia e gli impedisce di incidere, mettendolo ai margini e con lui il vero godimento