Chernobyl 1x05: la recensione
L'ultima puntata di Chernobyl fornisce le ultime spiegazioni quando finalmente siamo pronti a riceverle
Non che non fosse già chiaro, Chernobyl da subito racconta del potere e della sua paura della conoscenza, come la tarpi e a cosa questo possa portare in uno scenario estremo. Che poi è il fascino più immediato di questa miniserie impeccabile: aver creato uno scenario così assurdo da sembrare fasullo pur essendo vero. Più finzionale del falso il mondo di Chernobyl e quello dell’Unione Sovietica diventano un monito, una cautionary tale che viene raccontata oggi per mostrare cosa accada quando si teme la competenza, quando si pensa di poter ignorare la scienza.
Cambiamenti climatici, crisi delle élite culturali, fake news online, crollo della fiducia nella politica, tutto è figlio degli stessi germi che hanno portato al disastro di Chernobyl.
Il pregio della serie è che per fare tutto questo tira al massimo le novità e le caratteristiche della nuova serialità. È infatti necessario un tuffo nel tecnicismo che mostra come questa miniserie non tema di segmentare verso l’alto il proprio pubblico, non tema di metterlo alla prova e sfidarlo a comprendere senza rinunciare allo spettacolo. Legasov chiamato a testimoniare in un processo farsa lo trasforma nel teatro della rivelazione finale ben sapendo che gli costerà il resto dei suoi pochi giorni. Nello spiegare alla giuria (ma indirettamente a noi) come funziona un reattore nucleare, Craig Mazin affonda la sceneggiatura per 20 minuti di cartelli rossi e blu in un mare di tecnicismi, mentre Johan Renck li intervalla con flashback di cosa è effettivamente avvenuto e li puntella con una preoccupante tosse di Shcherbina (Stellan Skarsgard finalmente si dimostra determinante, ha seminato per 4 episodi e ora raccoglie). Il risultato è un manuale di narrazione mainstream che non si fa fermare dalla sua missione di parlare a tutti i tipi di pubblico e che usa la suspense in modi originali.
Dopo 5 episodi di raccolta di indizi arriviamo a vedere quello che la prima puntata aveva nascosto, i minuti prima dello scoppio. Potevano raccontarli subito, invece li mettono alla fine, li mettono nel momento in cui possiamo capire a fondo le potenze, la devastazione, i rischi e l’entità del danno. Quattro episodi ci hanno preparato, come un minicorso accelerato di fisica nucleare, a capire le proporzioni della follia dell’accaduto, ovvero quanto il timore del potere e al tempo stesso la sua bramosia abbiano piegato la mente di quegli uomini.
Evidentemente è una chiusa non impermeabile ad un po’ di retorica, ad una certa dose di predica e ad una grande morale che viene fatta tirando le somme, ma troppo e troppo bene è stato condotto tutto per davvero prendersela per un peccato a questo punto così veniale. In questa serie e nella lettura che fa del disastro di Chernobyl gli scienziati sono eroi pronti a tutto per far vivere lo stesso la conoscenza che il regime intende schiacciare con bugie, spionaggio e segreti.
I cartelli finali ci avvertono che come in Rocky IV anche nel tribunale farsa in cui Legasov disse la verità il pubblico si convertì rendendosi conto della mostruosità del proprio regime. La parte più sorprendente diventa allora come lo spauracchio del KGB si riveli meno potente e pervasivo, messo in crisi da un suicidio che arriva (stando sempre ai cartelli) a dare un colpo determinante alla fine dell’Unione Sovietica.
Come già detto non c’è grande timore di finire con un po’ di retorica ma una volta tanto il desiderio di creare una grande epica nello scontro tra la conoscenza che vuole liberare e l’ignoranza finalizzata al controllo suona rinfrescante.