“L’amore è una reazione chimica che viene e va”, dice la sorella maggiore del protagonista di
Chemical Hearts Henry (
Austin Abrams) al fratello disperato per amore: “E va bene così”. Questa riduzione dei sentimenti alla loro natura scientifico-chimica, con la conseguente normalizzazione del dolore psicologico a fenomeno fisico, è però non tanto il tema dichiarato, quanto una suggerita e più celata poetica che sta dietro a
Chemical Hearts (che già dal titolo se ne fa manifesto): ed è sostanzialmente la chiave di lettura proposta dal film, attraverso una spinta alla sana razionalizzazione, per poter superare il dolore di un lutto.
Perché è invece proprio il lutto il tema principale del film, secondo lungometraggio di Richard Tanne (che aveva debuttato con un buon successo quale Ti amo presidente, sull’amore tra Barack e Michelle Obama), che nonostante i protagonisti adolescenti e la trama da teen movie è un dramma decisamente maturo - non solo sulla maturità - malinconico, quasi scuro, dotato di particolare controllo e concentrazione sul suo stesso tono, sempre votato al personaggio principale e alla resa della sua psicologia.
Il protagonista è Henry, un diciassettenne che si dichiara un romantico ma che non è mai stato innamorato. Vuole diventare caporedattore del giornalino scolastico, ma non ha una vera passione che lo porti a scrivere: fino a che non incontra Grace (
Lili Reinhart), una ragazza appena trasferitasi da un altro liceo e che viene presa con lui a lavorare alla redazione scolastica. Grace è però segnata dal trauma della morte di una persona a lei vicina: un trauma che porta riconoscibilmente anche sul suo corpo, retto da una stampella per poter camminare. Henry se ne innamora perdutamente: e così oltre alle strane ed eccitanti emozioni del suo primo amore deve affrontare però anche il grave e pesante lutto che Grace porta con sé, con tutte le complicazioni che ne derivano.
Il lutto è qui inteso non solo come lutto vero e proprio, accettazione dolorosa e necessaria della morte fisica di una persona, ma anche come elaborazione di una morte metaforica: ovvero il lutto dato dalla fine di un amore. Questa è la tesi che Chemical Hearts porta avanti, e ogni dettaglio di trama mira a raccontare quel senso di fine mortifera, di “cura del dolore”: dall’hobby di Henry per il kintusgi (l’arte giapponese del riparare le ceramiche rotte con l’oro, metafora della nobiltà delle ferite), al tema del giornalino scolastico del “teenage limbo” su cui Henry e Grace lavorano, in cui devono raccontare i problemi della loro stessa età.
Richard Tanne, con l’intelligenza di non essere mai troppo palese o auto dichiarato, riesce a districarsi in un tema complesso, rendendo i disagi di una storia adolescenziale con lo sguardo duro di chi teenager non lo è più, e vede in prospettiva quanto la sofferenza sia stata utile. Senza accontentare, senza spiegare troppo, ma stando semplicemente sempre vicino al personaggio, visivamente e non, non distogliendo mai l’attenzione dai suoi sentimenti.