Che fine ha fatto Bernadette?, la recensione

La nostra recensione di di Che fine ha fatto Bernadette?, un film con poche idee, un grandissimo regista e una grande attrice

Critico e giornalista cinematografico


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CHE FINE HA FATTO BERNADETTE?, DI RICHARD LINKLATER: LA RECENSIONE

Fin dall’inizio non è chiaro come mai questa storia dovrebbe valere Richard Linklater.

Non è chiaro perché cioè la trama di una donna scontrosa con tutti tranne che con i familiari in un contesto altissimo borghese dovrebbe essere buono per lui. Non che sia un problema. Almeno all’inizio. Lo è semmai più il film avanza, quando sempre meno sembra una storia per lui. A questa donna crolla il mondo addosso quando si scopre che l’assistente personale via remoto cui si era affidata era una truffatrice che stava per rubare tutti i soldi della carta di credito di famiglia. A quel punto anche il marito le si rivolta contro e la accusa di essere esaurita, le mette accanto una terapeuta e intende partire con la figlia per il viaggio in cui era prevista anche lei.

Linklater è bravissimo con i legami stretti e la maniera in cui questi giorno per giorno teneramente cambino, evolvano, si muovano ed emergano nelle interazioni più basilari. Questo invece è un film a toni forti, fatto di scene clamorose e scoperte commoventi che non lo sono per niente. Perché poi Bernadette scapperà in Antartico e tutti correranno a cercarla mentre lei ritrova se stessa e la sua arte.

Il dramma è che Che fine ha fatto Bernadette? ci mette tantissimo a entrare nel vivo, davvero più di quanto sia lecito attendere, e pure quando lo fa si rivela essere un film deludente. Dietro la coperta fornita dai dialoghi di Linklater, dietro la sua cura per la recitazione e la capacità di creare interazioni significative tra persone che provano sentimenti gli uni per gli altri, si nasconde un film senza idee, con morali e svolte da quattro soldi. Ancora peggio: con obiettivi consolatori da quattro soldi. Ci siamo abituati, nessuno si scandalizza, ma perché Linklater?

Perché condannare lui a dirigere scene in cui un padre pentito di fronte alla figlia confessa la sua incapacità con la moglie dicendo: "So insegnare ai robot le cose di cui le persone hanno bisogno ma non sono riuscito a capire tua madre"?

Non è certo un film sulla depressione questo, non è un film su una malattia mentale: è un film che sfiora temi tosti senza avvicinarcisi, non è un film su una famiglia in crisi (perché in realtà si sbagliavano tutti) e semmai vorrebbe tangenzialmente parlare dell’empasse creativa e della fatica che una mente d’artista fa se non può creare. Ma davvero non funziona, in questa forma.

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