Chase, la recensione
Chase è un film action votato al brutalismo, retoricamente rozzo, che cerca di imbonirci col sentimentalismo ma che in realtà imbastisce un discorso retrogrado.
La recensione di Chase, su Prime Video dal 10 ottobre
In Chase è infatti fincheriano solo il punto di partenza, non certo la complessità che ne consegue. Will Span (Gerard Butler) è in crisi con la moglie Lisa (Jaimie Alexander), e proprio mentre la sta accompagnando dai genitori per lasciarla al suo “periodo di riflessione” questa scompare misteriosamente in una stazione di servizio. Da questo momento Will entra in paranoia e pur chiedendo aiuto alla polizia locale comincia il suo percorso di giustizia privata contro loschi figuri con camicie di flanella e il suo senso di inferiorità rispetto ad una relazione in cui non aveva più controllo.
Pur facendo bella mostra di una solidità da buon regista-shooter di film action, Brian Goodman mette la firma su scene e personaggi tipici del genere dove tutto è formalmente giusto ma dove manca qualsiasi volontà ulteriore di mostrare e dimostrare qualcosa che non stiamo già vedendo. L’idea di performance diventa così in Chase il centro formale ma anche retorico di tutto il film: Will sembra infatti volersi mettere nei casini prendendo le decisioni più stupide e sbagliate quasi solo per avere l’occasione di vedere come ne esce, quanto in fretta. Quanto più macho.
Chase lavora pensando sé stesso e il personaggio come qualcosa di sempre più grande. In un’escalation di botte, corse ed esplosioni dove dai pugni si arriva alle bombe e Butler è sempre più equipaggiato e invincibile, quello che però rimane schiacciato è il senso della misura. E, insieme ad esso, il buonsenso di pensare che basti così poco per essere convincente.
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