Chase, la recensione

Chase è un film action votato al brutalismo, retoricamente rozzo, che cerca di imbonirci col sentimentalismo ma che in realtà imbastisce un discorso retrogrado.

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La recensione di Chase, su Prime Video dal 10 ottobre

Quando Gone Girl di David Fincher incontra Gerard Butler col fucile, quello che ne esce è Chase di Brian Goodman. Un film action votato al brutalismo, retoricamente rozzo, che cerca di imbonirci con una pennellata sentimentale ma che in realtà riesce solo ad affermare una cosa: che per un macho come Butler salvare una donna in pericolo vuol dire prima di tutto salvare il proprio orgoglio ferito.

In Chase è infatti fincheriano solo il punto di partenza, non certo la complessità che ne consegue. Will Span (Gerard Butler) è in crisi con la moglie Lisa (Jaimie Alexander), e proprio mentre la sta accompagnando dai genitori per lasciarla al suo “periodo di riflessione” questa scompare misteriosamente in una stazione di servizio. Da questo momento Will entra in paranoia e pur chiedendo aiuto alla polizia locale comincia il suo percorso di giustizia privata contro loschi figuri con camicie di flanella e il suo senso di inferiorità rispetto ad una relazione in cui non aveva più controllo.

Pur essendo chiaro l’intento di Brian Goodman di fare una storia riconciliante dove la testardaggine del protagonista possa redimerlo dai suoi errori passati (si capisce dai ripetuti flashback che non era un marito presente), questa missione di salvataggio dettata dal puro istinto si rivela un mero campo di prova di un uomo egoista: una in cui il personaggio femminile viene prima dotato di una sua forza (quella di rifiutare certe condizioni) salvo poi cambiare radicalmente di fronte alle esigenze narrative. L’effetto è avvilente, fastidioso: e proprio per questa ingenuità nella scrittura dei personaggi e nella gestione delle aspettative (Goodman con dei flashback e delle particolari situaizoni fa sempre pensare che ci sia dell’altro su Lisa che non stiamo ancora scoprendo) la retorica buonista ci mette un attimo a scivolare in una glorificazione del vittimismo.

Pur facendo bella mostra di una solidità da buon regista-shooter di film action, Brian Goodman mette la firma su scene e personaggi tipici del genere dove tutto è formalmente giusto ma dove manca qualsiasi volontà ulteriore di mostrare e dimostrare qualcosa che non stiamo già vedendo. L’idea di performance diventa così in Chase il centro formale ma anche retorico di tutto il film: Will sembra infatti volersi mettere nei casini prendendo le decisioni più stupide e sbagliate quasi solo per avere l’occasione di vedere come ne esce, quanto in fretta. Quanto più macho.

Chase lavora pensando sé stesso e il personaggio come qualcosa di sempre più grande. In un’escalation di botte, corse ed esplosioni dove dai pugni si arriva alle bombe e Butler è sempre più equipaggiato e invincibile, quello che però rimane schiacciato è il senso della misura. E, insieme ad esso, il buonsenso di pensare che basti così poco per essere convincente.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Chase? Scrivetelo nei commenti!

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