Charlie's Angels, la recensione

Troppo serio, troppo focalizzato sulla politica, recitato male, troppo problematico sul fronte del ritmo: Charlie's Angels non funziona

Critico e giornalista cinematografico


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Questo secondo adattamento per il cinema della serie tv Charlie’s Angels (ma terzo film perché il primo adattamento del 2000 ebbe un sequel) è il più grande trionfo dell’agente di Kristen Stewart. Nonostante una fama altalenante in patria ma in crescita nel cinema europeo, farle conquistare la parte più importante e in un ruolo spensierato, leggero, frivolo e pieno di battute e ironia, non deve essere stato facile. Nota per ruoli tutt’altro che divertenti, e per note tutt’altro che leggere, qui Kristen Stewart interpreta un personaggio buono per Kate McKinnon e sebbene non dimostri di essere la migliore in questo sport, è indubbio che si difenda.

In realtà il vero obiettivo di questo Charlie’s Angels ha tutto di politico e femminista e poco di spettacolare. La storia delle Charlie’s Angels viene prolungata e allargata, la sua mitologia viene espansa all’Europa con una sede e diverse divisioni nate dopo quella principale americana. Lungo il film poi si forma un nuovo team con un nuovo Charlie, non più uomo ovviamente (l’idea che una banda di ragazze stia agli ordini di un’intelligenza maschile non si adatta bene alle finalità). E in questo nuovo mondo europeo moderno tutto funziona con tempi e ritmi femminili, sostituendo il cameratismo maschile delle bande action vecchio stampo (tutto confronti a testa alta di maschi alfa) ad uno femminile, fatto di momenti di comprensione, accettazione, conversazioni sul divano senza scarpe e condivisione dei sentimenti.

Non mancano ovviamente le più tipiche parti d’azione esagerata e fumettistica che però seguono binari prevedibilissimi, dirette con la consueta confusione del cinema action più generico (in cui ci fidiamo che le cose stanno accadendo più che capirle e seguirle davvero), e questo nonostante il regista di seconda unità sia un ex stuntman, Markos Rounthwaite. Questo non sarebbe nemmeno troppo un problema, essendoci abituati, se non fosse che il film, ovviamente, pretende anche di fare della commedia tramite l’azione.

È tutto figlio purtroppo di quello che pare un unico equivoco, cioè il fatto che Elizabeth Banks, qui regista al secondo film dopo Pitch Perfect 2 (un’altra storia di una banda di ragazze), crede davvero alle esagerazioni che mette in scena. Invece di divertirsi con i toni caricati, sembra trattare il film come un vero film di spionaggio e azione, come fosse The Bourne Identity, dimostrando poca dimestichezza con certe dinamiche e scarsa autoironia. Le conversazioni banali con i villain e le prevedibili svolte sono trattate con la gravitas dei momenti seri invece che con la leggerezza di necessari cliché. E del resto il fine politico del film è così forte che rivediamo il problema che spesso affligge i personaggi femminili protagonisti d’azione: la perfezione. I tre angeli sono fantastici, simpatici, rimorchiano, sono potenti ma anche teneri, intelligenti ma sognatrici, forti ma bisognose di conforto e in linea di massima non hanno problemi al di fuori della trama. In un’epoca di antieroi e personaggi ambigui sono bianche come i cavalieri della valle solitaria del west.

Finiscono di affossare il film seri problemi di ritmo e di recitazione (Kristen Stewart non se la cava male ma Ella Balinska è un disastro senza appello), trascinandolo a fatica fino al finale cui, si capisce, sognava di arrivare fin dall’inizio. Il momento cioè in cui capiamo che gli “angeli” sono in realtà le donne, un grande team tutto femminile che si aiuta e si sostiene sempre anche quando non sembrava. L’angelo è in realtà la metafora della donna potente, che sa prendere il destino in mano e non vuole più stare in un angolo.

Una chiusa sui titoli di coda piena di vere donne famose e di successo che fanno da allenatrici per le nuove reclute di Charlie figura come l’idea migliore di tutto il film.

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