Charlie Hebdo 1178, la recensione

Lo spettacolo deve continuare e la redazione di Charlie Hebdo ce lo insegna. Questo numero 178 è una lezione: ridere sempre, anche del proprio lutto

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Nessuna recensione mi è mai costata così tanta fatica; nessun pezzo che mi è capitato di recensire ha mai significato tanto quanto l'ultimo numero di Charlie Hebdo. Guardo la copertina di Luz che ha già fatto il giro del mondo, quella di questo numero 178 e ringrazio il cielo e Il Fatto Quotidiano per avere avuto il privilegio di parlarne. Tutta la settimana il giornale di Antonio Padellaro lo avrà in allegato e dal ricavato trarrà una donazione per le famiglie delle vittime.

“Tout est pardonné”. “È tutto perdonato” romba come un tuono più forte di una qualunque sventagliata di kalashnikov, ed è tenera come la carezza di un bimbo che annulla ogni rancore, fa dimenticare ogni cattivo pensiero. La rivista parigina si rialza dopo lo schianto del 7 gennaio ed è già in piedi con la solita, fulminante bravura. E pensare che questo settimanale fino a poco tempo fa viaggiava su tirature quantificabili in qualche decina di miglia di copie e oggi si parla di milioni. Pian piano i numeri torneranno quelli di prima o, chi lo sa, magari no.

Mai nessun attacco terroristico in Europa ha squassato gli animi come questo, annullando le barriere e i confini nazionali, etnici, culturali, religiosi. Flussi e riflussi di emozioni le più contrastanti hanno imperversato su ogni media; dolore, tristezza, rabbia, commozione, indignazione, paura. Placatesi le reazioni iniziali è emerso il rispetto... l'incondizionato rispetto per quegli autori quasi sconosciuti al grande pubblico internazionale prima di allora: Cabu, Tignous, Wolinski, Charb, Honoré, Cayat e molti altri, che non potranno più farci ridere o incazzare. Lo spettacolo deve continuare e la redazione di Charlie Hebdo ce lo insegna. Questo numero 1178 è una lezione; ci si può burlare di tutto, non solo di Dio, ma addirittura del proprio lutto, anche il più sconcertante: perché è l'unica vera arma che l'uomo ha per vincere le assurdità e il mistero infinito che è la vita. E dopo il capolavoro della copertina con Maometto in lacrime che tiene un cartello “Je suis Charlie”, si va dritti alla solita satira irriverente degli interni, contenenti pezzi degli artisti falciati dalle pallottole dei terroristi. È un ciclone travolgente di vignette che spazza via tutta la polvere delle parole di questi giorni. Raccontarvele è quasi come spiegare una barzelletta, ma sono talmente potenti che mantengono parte della loro carica umoristica e sarcastica, anche così smontate.

Tignous a pagina due ritrae tre fanatici a un tavolo che riflettono:

Non bisogna più toccare quelli di Charlie Hebdo. Altrimenti diventano dei martiri e una volta in paradiso quei bastardi ci fottono tutte le nostre vergini!

Cabu sull'apertura della Chiesa di Roma ai divorziati riguardo al sacramento della comunione, disegna papa Francesco I mentre sta per somministrare l'ostia a una lunga fila di giovani donne con la lingua fuori in attesa della particola e prega:

Dio mio, perdona queste divoratrici di cazzi.

Honoré ispirato dalla Banca Vaticana, ci mostra Bergoglio con un sigaro in bocca e la didascalia:

La banca del Vaticano, 6,3 milioni di euro. Il papa voleva la sua chiusura, punto. C'erano i sospetti che riciclasse soldi della mafia. Ma alla fine non se n'è fatto nulla. San Pietro non aveva un conto in banca, la mafia si!

Catherine porta in scena la caffettiera che in redazione non c'è mai stata e raffigura uno sconcertato collega che guardandola svampare fumo, commenta riferendosi probabilmente a tutti i danni arrecati dai due assaltatori:

Sta stronza non funziona di nuovo.

Ancora Cabu interpreta a modo suo il progetto Erasmus in versione arruolamento da parte dell'Isis di giovani occidentali. Due ragazzi alquanto confusi si presentano, valigia in mano, a due soldati del gruppo dello Stato Islamico, uno dei quali dopo averli squadrati, dice loro:

Avete fatto la maturità al dipartimento 93 [nelle banlieue] ? Bene! Andate a pulire i cessi!

Riss piazza una matita appuntita sotto il deretano di un terrorista incappucciato e riporta:

Le nostre matite saranno sempre più appuntite dei vostri proiettili.

Anche la Morte secondo Catherine è una lettrice del periodico: con in mano una copia urla, ridendo a crepapelle:

Io mi abbono!

E così via, attraverso un susseguirsi di immagini e battute che colpiscono e articoli che richiamano alla riflessione, denunciano, ringraziano, sempre con intelligenza e soprattutto senza alcuna ipocrisia. Merita su tutti l'elogio della laicità nella rubrica di apertura, L'Aperò (l'Aperitivo), intitolato Ci saranno ancora dei "sì, ma"? Così Gerard Biard, succeduto a Stéphane Charbonnier (in arte Charb) alla direzione della testata, saluta la rinascita:

Da più di una settimana, Charlie, giornale ateo, compie più miracoli di tutti i santi e i profeti messi insieme... Quello che ci ha più fatto ridere è che le campane di Notre Dame hanno suonato in nostro onore... Da più di una settimana Charlie solleva altro che le montagne in tutto il mondo. Da più di una settimana, come ha magnificamente disegnato Willem, Charlie è pieno di nuovi amici. Anonimi e celebrità planetarie, umili e ricchi, miscredenti e dignitari religiosi, sinceri e gesuiti, di quelli che resteranno con noi tutta la vita e di quelli che sono solo di passaggio. Oggi li accettiamo tutti, non abbiamo il tempo né la voglia di fare selezioni...

In questi ultimi anni ci siamo sentiti un po' soli nel provare a respingere a colpi di matita le cattiverie gratuite e le sottigliezze pseudo-intellettuali che finivano addosso a noi e ai nostri amici, che difendevano fermamente la laicità: “islamofobi, cristianofobi, provocatori, irresponsabili, gettate benzina sul fuoco, razzisti, ve-la-siete-proprio-cercata”...
“Sì, noi condanniamo il terrorismo, ma. Si, minacciare di morte dei disegnatori è sbagliato, ma. Sì, incendiare un giornale, è una colpa, ma”. Abbiamo sentito di tutto, noi e i nostri amici. Ci abbiamo fatto una risata sopra il più delle volte, perché è quello che sappiamo fare meglio. Ma vorremmo ridere di altro adesso. Perché siamo già daccapo. Non avevamo ancora asciugato il sangue di Cabu, Charb, Honoré, Tignous, Wolinski, Elsa Cayat, Bernard, Maris, Musapha Ourrad, Michel Renaud, Franck Brinsolaro, Frédéric Boisseau, Ahmed Merabet, Clarissa Jean-Philippe, Philippe Braham, Yohan Cohen, Yoav Hattab e Francois-Michel Saada che Thierry Meyssan spiegava ai suoi fan su Facebook che si trattava chiaramente di un complotto giudeo americano occidentale...

Noi cerchiamo comunque di essere ottimisti, anche se non è di moda oggi. Speriamo che a partire da questo 7 gennaio 2015 la ferma difesa della laicità sia condivisa da tutti, che si smetta per partito preso, per calcoli elettorali o per vigliaccheria, di legittimare o anche di tollerare il comunitarismo e il relativismo culturale, che aprono la strada a una sola cosa: il totalitarismo religioso...

Ci sono per fortuna diversi strumenti per provare a risolvere questi gravi problemi, ma sono tutti inutili se ne manca uno: la laicità. Non la laicità positiva, non la laicità inclusiva, non la laicità non-so-cosa, la laicità punto e basta. Essa sola permette, perché promuove l'universalità dei diritti, l'esercizio dell'uguaglianza, della libertà, della fraternità. Essa sola consente la piena libertà della coscienza, libertà che nega, più o meno apertamente secondo i loro posizionamenti di marketing, tutte le religioni da quando abbandonano la sfera della intimità individuale per finire nell'arena politica. Essa sola garantisce, ironicamente, a chi crede oppure no, di vivere in pace. Tutti quelli che intendono difendere i musulmani accettando discorsi di totalitarismo religioso, difendono alla fine i loro carnefici. Le prime vittime del fascismo islamico sono i musulmani stessi.

Come dicono in francesi in questi casi: Chapeau!

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