Chang a canestro, la recensione

Ci sono tutti i soliti luoghi comuni del cinema sportivo e da high school in Chang a canestro ma anche la capacità di dargli un senso

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Chang a canestro, il film su Disney+ dal 10 marzo

Chang ha un obiettivo ed è imparare a schiacciare. È alto un metro e 77 centimetri, non arriva nemmeno al ferro, ma ha 11 settimane per farcela e vincere molto di più della maglietta indossata da Kobe Bryant in una partita storica che il suo rivale ha scommesso. Nella sfida della schiacciata c’è l’idea di porsi un obiettivo, migliorare e raggiungerlo per dimostrare a se stesso di essere di più di quello che Chang nella stanchezza della madre, di quello che vede intorno a sé, essere a livello della ragazza che ha adocchiato, cambiare la propria vita. È esattamente il principio in virtù del quale Rocky si allena come si allena, non per vincere contro Apollo ma per dimostrare a se stesso di poter essere altro da quel poco che è. La dedizione come massimo valore etico e morale capace di purificare anche l’animo più perdente.

Chang a canestro è il primo film scritto e diretto da Jingyi Shiao, è una teen comedy sportiva e come tale è scritta e soprattutto diretta benissimo. Possiede tutte le convenzioni formali del genere, dai video postati su YouTube alle pagine di diario, i disegni, le animazioni abbozzate e poi la musica e le dinamiche da high school. Per almeno tutta la prima ora è impeccabile. Poi comincia a faticare. Dopo l’arrivo del fatidico giorno della scommessa la trama si ribalta, diventa una storia un po’ diversa. È sempre una questione di formazione personale, di definizione di sé di fronte agli altri, ma è tutto meno appassionato e un po’ più paternalistico.

Questo non leva che tutto il cast di ragazzi e genitori è molto ben diretto, in particolare il protagonista Bloom Li, sembra non lavorare come fanno i ragazzi attori americani (che paiono usciti da una fabbrica, recitano tutti bene ma anche tutti alla stessa maniera), ha una grandissima personalità e sa essere interessante, convincente e appassionato.

Perché alla fine, tra alti e bassi di sceneggiatura, tra convenzioni e un po’ di abilità, la formula cui risponde (e bene!) Chang a canestro è quella che tramanda di generazione in generazione lo spirito statunitense. Il passaggio da ragazzo a uomo di un protagonista attraverso la dedizione a qualcosa. Il fatto di schiacciare diventa un’ossessione che gli stessi comprimari comprendono a fatica, diventa il simbolo di qualcosa che manca nella vita di Chang (un’identità e il desiderio di un’altra vita). Qualcosa che, come si conviene negli ideali americani, è una realizzazione raggiungibile solo tramite il duro lavoro.

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