Challengers, la recensione

Dentro Challengers c'è un film di ragazzi, fuori c'è un film d'autore e la strada che Guadagnino trova per metterli in contatto è cinema puro

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Challengers, il nuovo film di Luca Guadagnino al cinema dal 24 aprile

La pallina in Challengers fa STOCK! quando viene colpita dalle racchette degli atleti. È uno STOCK! che stura le orecchie, così forte e appuntito da essere violento, come una mazza chiodata che sfonda una parete di legno. È il primo incontro che si fa, vedendo questo film, con la sua dimensione fisica. Il suono in un film racconta il tatto e il sonoro di Challengers, tutto il sonoro, è curato come raramente capita di sentire. L’obiettivo, di concerto con tanti altri elementi, è di rendere la potenza del tennis, la violenza del tennis, la tensione e i muscoli di corpi comandati da volontà di ferro. Il sound design è architettato per avere l’impressione di avvertire il contatto. Il tennis è l’espressione di corpi giovani in tensione, di menti affilate che desiderano e vogliono conquistare. La pallina che fa STOCK! e sembra quasi ci colpisca in faccia con quel suono prima ancora di quando, sfrontata e arrogante come chi la colpisce, va dritta contro l’obiettivo, è solo la conseguenza.

Challengers non è il film che si può immaginare. E non lo è mai. In nessuno dei suoi momenti. In un immaginario spettro ai cui estremi ci sono da una parte il cinema di teenager e dall’altra quello adulto, si posiziona in un punto tutto suo, strano, inusuale e per certi versi unico. È un film in cui una finale di un torneo di tennis minore e di provincia, in cui si scontrano un grande tennista e uno sconosciuto, viene seguita attraverso continui flashback che spiegano la rivalità tra questi due tennisti e soprattutto la donna che li guarda in tribuna. La perizia e la profondità di lettura è sempre quella del cinema adulto ma esiste anche, specialmente nelle parti in cui i protagonisti sono ragazzi, la piacevole giocosità del teen movie. Questo è senza dubbio il più adulto tra i film di ragazzi mai fatto, e il più adolescente tra i film adulti mai visto. E di conseguenza è la forma più giocosa e frivola possibile del cinema d’autore più sofisticato.

Questa leggerezza Luca Guadagnino la padroneggia da sempre (quando vuole), è la stessa che in misure diverse contamina Chiamami col tuo nome, la stessa che a tratti fa capolino in Melissa P. e che in We Are Who We Are stempera la serietà del contesto. Se altrove però questa leggerezza passa dalla sceneggiatura, in Challengers emerge dal filmmaking, dal godimento nell’usare la macchina del cinema al massimo. In certi punti anche troppo. Non è certo il tipo di film privo di difetti, non è un film perfetto ma uno che i suoi difetti li vede e preferisce passarci sopra e schiacciarli con continue soluzioni, inventando punti di inquadratura strani, soggettive della pallina, prospettive inedite, svolte che arrivano strane, scenografie inusuali, entrate ma anche uscite delle musiche che prendono di sorpresa e via dicendo. In certi punti, come detto, anche troppo (il finale lungo, insistito, prolisso e chiuso male anche se sulla carta è quello giusto, è un esempio), ma è da pazzi e bigotti limitarsi a questi difetti, come se davvero possano intaccare il piacere tutto epidermico di un film che vive di momenti.

Se c’è una cosa che qui è ancora più evidente è quanto sempre di più i film di Guadagnino siano il trionfo di contributi eccellenti: le musiche di Trent Reznor e Atticus Ross, le incredibili giornate di sole, terse e dai colori sgargianti di Sayombhu Mukdeeprom (davvero mai viste così in un film, da sole parlano di estate, odori, umori e caldo sulla pelle) e anche la maniera stupenda in cui Josh O’ Connor anima di vitalità le sue scene e si tiene su un territorio ambiguo. Anche quando sta seduto in uno spogliatoio a guardare altri tennisti dannarsi per un desiderio di vincere che lui non ha (ma con soddisfazione) è al tempo stesso perdente e vincente, attraente e derelitto. Che, di nuovo, tutto questo a tratti sia finalizzato a una giocosità frivola è semplicemente fantastico! Non è folle dire che Challengers esplicita il piacere del cinema d’autore (quello più sofisticato) traducendolo nello svolgimento di un film per ragazzi. Così gli si perdona una sceneggiatura di Justin Kuritzeks ben poco appassionante e gli si perdona Zendaya, perno economico intorno a cui gira la produzione, ragione stessa per cui il film esiste in questa forma ma poi (come sempre) interprete blanda, corpo attoriale ostentato senza nessuna vera capacità comunicativa e attrice incapace di dare complessità ai propri personaggi ma sempre limitata a una sola soluzione attoriale in ogni film: nascondere il desiderio.

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