Challengers, la recensione
Dentro Challengers c'è un film di ragazzi, fuori c'è un film d'autore e la strada che Guadagnino trova per metterli in contatto è cinema puro
La recensione di Challengers, il nuovo film di Luca Guadagnino al cinema dal 24 aprile
Challengers non è il film che si può immaginare. E non lo è mai. In nessuno dei suoi momenti. In un immaginario spettro ai cui estremi ci sono da una parte il cinema di teenager e dall’altra quello adulto, si posiziona in un punto tutto suo, strano, inusuale e per certi versi unico. È un film in cui una finale di un torneo di tennis minore e di provincia, in cui si scontrano un grande tennista e uno sconosciuto, viene seguita attraverso continui flashback che spiegano la rivalità tra questi due tennisti e soprattutto la donna che li guarda in tribuna. La perizia e la profondità di lettura è sempre quella del cinema adulto ma esiste anche, specialmente nelle parti in cui i protagonisti sono ragazzi, la piacevole giocosità del teen movie. Questo è senza dubbio il più adulto tra i film di ragazzi mai fatto, e il più adolescente tra i film adulti mai visto. E di conseguenza è la forma più giocosa e frivola possibile del cinema d’autore più sofisticato.
Se c’è una cosa che qui è ancora più evidente è quanto sempre di più i film di Guadagnino siano il trionfo di contributi eccellenti: le musiche di Trent Reznor e Atticus Ross, le incredibili giornate di sole, terse e dai colori sgargianti di Sayombhu Mukdeeprom (davvero mai viste così in un film, da sole parlano di estate, odori, umori e caldo sulla pelle) e anche la maniera stupenda in cui Josh O’ Connor anima di vitalità le sue scene e si tiene su un territorio ambiguo. Anche quando sta seduto in uno spogliatoio a guardare altri tennisti dannarsi per un desiderio di vincere che lui non ha (ma con soddisfazione) è al tempo stesso perdente e vincente, attraente e derelitto. Che, di nuovo, tutto questo a tratti sia finalizzato a una giocosità frivola è semplicemente fantastico! Non è folle dire che Challengers esplicita il piacere del cinema d’autore (quello più sofisticato) traducendolo nello svolgimento di un film per ragazzi. Così gli si perdona una sceneggiatura di Justin Kuritzeks ben poco appassionante e gli si perdona Zendaya, perno economico intorno a cui gira la produzione, ragione stessa per cui il film esiste in questa forma ma poi (come sempre) interprete blanda, corpo attoriale ostentato senza nessuna vera capacità comunicativa e attrice incapace di dare complessità ai propri personaggi ma sempre limitata a una sola soluzione attoriale in ogni film: nascondere il desiderio.
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