Cercasi Amore per la Fine del Mondo, la recensione

Il film con Steve Carell e Keira Knightley ti lascia dentro qualche riflessione e anche un po' di amaro in bocca: si intuisce l’arguzia dell’autrice, ma non se ne gode fino in fondo...

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Steve Carrell ha uno di quei volti capaci da soli di dare l’indirizzo ad un film.

Sarà che spesso si ripete, ma guardandolo ormai ti aspetti sempre il personaggio un po’ apatico, lontano dal resto del mondo finché non è il resto del mondo a coinvolgerlo in qualche tipo di situazione in cui lui si ritrova suo malgrado e questo tipo di dinamica narrativa è ancora più evidente quando il tono del film non è propriamente comico, bensì a metà tra la commedia ed il dramma (come ad esempio in “L’amore secondo Dan”).

Cercasi amore per la fine del mondo fa parte di questo secondo filone. E del resto non potrebbe essere che così, visto che fin dal prologo si viene a sapere che un asteroide colpirà la terra nel giro di tre settimane e che non c’è nessuna speranza di sopravvivenza per nessuno.

Come cosa fare e con chi passare gli ultimi giorni della propria vita? Dodge non ne ha idea. Continua ad andare al lavoro come se nulla fosse e non si aspetta nessun colpo di coda da un’esistenza che per ora gli ha regalato una sola vera gioia, un amore giovanile di cui ancora celebra un ricordo affogato di rimpianti. Le cose cambiano quando accidentalmente fa la conoscenza della sua eccentrica vicina (Keira Knightley). Assieme decidono di partire e risolvere alcune delle questioni rimaste in sospeso delle rispettive vite, lei cerca la sua famiglia, lui la sua vecchia fiamma. Ma come tutti i road movie che si rispettano, il viaggio porterà ad entrambi qualcosa di inaspettato...

Cercasi amore per la fine del mondo è una di quelle pellicole ibride che sembrano a lungo girare a vuoto, né divertente, né tragica, con personaggi oltrettutto poco interessanti (la performance seppur volenterosa di Keira Knightley purtroppo non aiuta in tal senso), ma che si risollevano improvvisamente quando c’è da tirare le fila dei discorsi.

Nonostante l’ambientazione apocalittica (e i 25 milioni di budget, non molto, ma neanche poco), il tono è quello da film indipendente americano, “da Sundance” per intenderci; si ride un pochino, ci si commuove un pochino e ci si annoia un pochino. Tutto va come ci si aspetta che debba andare, nessuna sorpresa all’orizzonte, persino il doppio finale (se ne poteva lasciare uno) sembra un passaggio obbligato.

A riequilibrare il giudizio c’è però la trovata narrativa secondo la quale, con la fine del mondo alle porte, molta gente non saprebbe gestire al meglio i propri ultimi scampoli di vita, preferendo affidarsi alla normale routine anziché “fare ciò che non si è mai fatto prima”. In questo senso la regista e sceneggiatrice debuttante Lorena Scafaria è brava nel ritrarre il tutto giocando con l’ironia del grottesco mai senza cadere mai nel demenziale o in qualche tipo di critica sociale populista e a buon mercato. Il risultato è un film che ti lascia dentro qualche riflessione e anche un pochino di amaro in bocca: si intuisce l’arguzia dell’autrice, ma non se ne gode fino in fondo.

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