La recensione di C'era una volta in Bhutan, il film che racconta della vera elezione simulata che si tenne in Bhutan nel 2005
Nel 2005 in Bhutan si sono tenute delle finte elezioni. Una simulazione di elezione in un paese che non ne aveva mai avute ma doveva prepararsi ad averne, perché tre anni dopo il monarca avrebbe rinunciato al suo ruolo e lo stato sarebbe diventata una democrazia. È uno spunto grandioso per un documentario, uno di quelli cioè che scatena molte domande molto specifiche la risposta alle quali, è facile immaginare, è strana, esotica e fuori dagli schemi tanto quanto l’idea stessa di simulare delle elezioni con tre partiti: uno per la conservazione, uno per il progresso industriale e uno per uguaglianza e giustizia.
Invece C’era una volta in Bhutan, con questo titolo da favoletta è, guarda un po’, una favoletta molto buonista e piena di panoramiche sui grandi paesaggi naturali, in cui alcuni monaci sembrano avere brutte intenzioni (fin dalla prima scena dicono che in vista dell’elezione gli servono due fucili) e invece no (chi l’avrebbe mai detto!). C’è anche un americano in cerca di un fucile molto raro e prezioso che tuttavia per i locali non ha alcun valore, e c’è una famiglia che sperimenta per la prima volta una divisione politica al suo interno e tutte le conseguenze di essere giudicata per le proprie idee. Tutto convoglierà in un finale in cui le cattive intenzioni saranno punite e l’animo dei bhutanesi sarà celebrato.
Perfetto per chi vuole crogiolarsi nella bellezza della democrazia senza impegno, senza mettere in questione nulla ma cancellando ogni complessità a colpi di fantastici paesaggi naturali, volti presi dalla strada e sgargianti costumi colorati di fronte ai quali esclamare: “CHE BEI COSTUMI!”.
C’era una volta in Bhutan non ha nessun afflato politico anche se parla di politica, non ha nessuna voglia di attaccare nessuno ma quel fastidioso atteggiamento ecumenico che sembra voler dire che va bene tutto, basta che ci siano la tolleranza, l’amore e la fede religiosa. Asia da esportazione, buono per affascinare occhi occidentali e cinema di sottile spirito conservatore che vede in tutto ciò che è lontano una specie di El Dorado della vita placida, onesta e priva di tutte le passioni più negative che dominano nei paesi più evoluti.