C'era una volta il crimine, la recensione
Prima di iniziare la recensione di C'era una volta il crimine è opportuno chiedere scusa per quel che avevamo scritto riguardo il primo film
C’è da chiedere scusa. Nella recensione di Non ci resta che il crimine, il primo capitolo di questa trilogia, avevamo scritto che il potenziale di azione o anche solo di genere della sceneggiatura era costantemente frustrato e messo da parte dal film finito, che invece che guardare a un po’ di avventura voleva tantissimo essere solo la solita commedia italiana. Ecco tocca scusarsi perché C’era una volta il crimine, terzo capitolo della trilogia sul viaggio nel tempo di Massimiliano Bruno su idea di Guaglianone e Menotti, invece pende decisamente più sul lato dell’avventura, segue il potenziale della sceneggiatura e non punta solo sull’essere una commedia italiana, fa insomma quel che si auspicava nella recensione. Ed è molto peggio! Un disastro senza appello, un massacro. La Little Big Horn dei viaggi nel tempo.
C’era una volta il crimine, l’unica altra trilogia del cinema italiano insieme a Smetto quando voglio (e fa ridere che abbiano in comune tantissimo, dall’essere fondata sul crimine ad avere una banda al centro fino a Edoardo Leo e Giampaolo Morelli), non ha proprio la capacità di fare action comedy di Sibilia, né tantomeno profonde il medesimo impegno nel suo lavoro, parla un’altra lingua e la velleità di muoversi su due generi lo condanna. Non è veramente divertente (almeno il primo un po’ ci provava) ed ha una presunzione infinita nel pensare che realmente sia passabile un simile modo di dirigere. E prima ancora di arrivare all’azione o alla mancanza del fascino nel raccontare l’incontro di un personaggio con sua madre e sua nonna da giovani, sono già inaccettabili e denotano scarsissimo impegno dettagli come una classe di liceo turbolenta in cui adolescenti di oggi si lanciano gli aereoplanini di carta!
Quel momento in cui andrebbe inscenato un conflitto fatto di spari, mitragliate, bombe, carri armati e tre diversi fronti che si battono è un punto così basso che c’è da augurarsi diventi un monito per tutti: cosa accade se non si sta attenti e non si temperano le ambizioni con le possibilità, perché non c’è ironia che possa rendere accettabile la scadente qualità del girato.
Certo, non si può negare tuttavia che C’era una volta il crimine tiri indietro la gamba e questo ad un certo punto lo fa sconfinare in un’altra categoria. Perché quando nel conflitto armato tra partigiani e nazisti del ‘43 si aggiunge la Banda della Magliana dell’82, il WTF è così forte che viene da pensare che forse possa fare il giro e scavallare in un territorio che sta al di là del bene e del male. Sospetto definitivamente spazzato via per lasciare posto alla certezza quando tutto è accompagnato da La libertà di Giorgio Gaber e la sequenza si attesta di prepotenza come il momento più assurdo del cinema italiano del 2022.