Cento domeniche, la recensione

Cento domeniche è un film così sentito da Antonio Albanese, anche regista, che gli si perdona anche qualche scivolone su una storia potente

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La recensione di Cento domeniche, il film di Antonio Albanese al cinema dal 23 novembre 2023.

Non esistono film necessari per il pubblico. Esistono film necessari per l’autore che li crea. Cento domeniche è uno di quelli. Antonio Albanese, qui anche nella veste di regista, si muove nel territorio del cinema sociale alla francese, quello di uomini comuni alle prese con sistemi più grandi di loro. Lo fa benissimo per quasi tutto il tempo, con un’energia nel prendere posizione e una visione fuori dal comune. Smesse le sue maschere storiche ed eccentriche, Albanese trova la più vera e simile a lui, quella di Antonio: un ex tornitore che conduce una vita semplice. È in pensione ma continua a lavorare per il suo ex datore di lavoro in cambio di piccoli favori. Ha un’amante. Segreto che, nel piccolo paese in cui abita, non è semplice da tenere. Cura la mamma anziana e ha una figlia. Il suo unico sogno è accompagnarla all’altare.

L’unico, o forse l’ultimo, grande desiderio di una vita semplice che si infrange di fronte al crack della banca locale. Il confessionale, come la chiameranno nel film, perché tutto sa dei suoi clienti e loro tutto sanno (dovrebbero sapere) di lei. Inizia qui il racconto della caduta nella depressione e nella disperazione di chi ha perso tutti i risparmi di una vita. Cento domeniche si interessa ai ritratti umani della gente comune, mostrata nella più banale quotidianità: dalle visite mediche della mamma anziana alle chiacchierate sul campo di bocce. In questo Albanese è bravissimo, sia a dirigere alcuni dialoghi di una schiettezza che colpisce a fondo, sia nel disegnare il suo Antonio come un buono. Una persona che si fida. 

La fiducia è il tema che lega le varie sottotrame, non tutte ugualmente interessanti, e un argomento che purtroppo trova la soluzione narrativa più pigra e pericolosa come messaggio nel suo discutibile finale. È un peccato, perché per il resto Cento domeniche è un film sincero come se ne dovrebbero vedere spesso. Le scene migliori sono spesso commentate da un elemento esterno che entra in scena e le dà un’impronta diversa. Appena ricevuta una tragica notizia i partecipanti a un rinfresco si alzano dal posto sconvolti. Una bambina nascosta dietro a un muro osserva Antonio e gli fa segno di non parlare. Sta giocando a nascondino. Ma quel gesto significa molto altro nella maturazione del personaggio. 

Ci sono poi gli impiegati della banca, su cui si cerca di fare un ragionamento più complesso della semplice connivenza o innocenza. Quando riprende queste persone il film riesce ad aprire la dimensione del racconto oltre il suo protagonista. Diventa la questione di un’intera comunità abituata ad avere al suo centro una banca che ha restituito molto al territorio per anni e che ora rischia di mandare tutto all’aria. 

Nella sua energia comunicativa, Albanese è bravo anche a mostrare come non tutti cadano allo stesso modo. Lavora sulle prospettive, disponendo prima le abitazioni e gli oggetti dei più ricchi allo stesso livello degli orti. Poi, quando le difficoltà accentuano le differenze nel reggere gli scossoni economici, chi è più tutelato sembra guardare dall’altro verso il basso gli altri.

Cento domeniche procede così per quasi tutta la sua durata. Equilibratissimo, pieno di cuore e con la migliore interpretazione dell’attore che ha così voluto questa storia. Scivola per un attimo quando si fa prendere la mano negli ultimi istanti, perde la sua compostezza e fa emergere tutta la rabbia diventando però meno efficace. Di fronte a un cinema così sentito, però, è un difetto che si può perdonare facilmente.

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