Cecità

Il mondo è sconvolto da un'epidemia di cecità e i primi contagiati vengono isolati in un ospedale. Dal libro del premio Nobel Saramago, una trasposizione fedelmente presuntuosa e falsamente poetica...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloCecitàRegiaFernando Meirelles
Voci originali
Julianne Moore,  Mark Ruffalo, Alice Braga, Yusuke Iseya, Danny Glover, Gael García Bernal

Uscita

La carriera di Fernando Meirelles ha raggiunto un punto preoccupante. Dopo essersi fatto conoscere dal grande pubblico con lo straordinario La città di Dio, è decisamente sceso di qualità con The constant gardener - La cospirazione (anche se chi scrive non è tra i tanti detrattori di quella pellicola). Cecità, purtroppo, conferma lo stato di crisi del regista e lo aggrava decisamente. Ma, per quanto mi riguarda, le perplessità erano sorte fin dall'inizio. Infatti, scegliere di adattare il libro del premio Nobel José Saramago era già un azzardo, trattandosi infatti di opera decisamente metaforica sull'umanità e sui grandi temi filosofici, con la scusa di un prodotto di genere decisamente poco convincente. Insomma, le poche pagine che Stephen King dedica ne L'ombra dello scorpione a un gruppo di violentatori valgono decisamente molto di più di tutto questo romanzo.

In questo senso, si può dire che (purtroppo) il Cecità di Meirelles è fedele all'opera originale. Si tratta del classico cinema di genere per intellettuali, quello che come trama prende una storia affrontata spesso dalle pellicole utopistiche/di fantascienza/horror, ma che ha la presunzione di voler essere decisamente superiore a quei prodotti. Tuttavia, mancano gli elementi più importanti. Intanto, c'è pochissima tensione e un senso di falsità nei personaggi fin dall'inizio. Il tutto è reso più assurdo da una trama che ovviamente non si pone tanto il problema di trovare una logica, quanto quello di rappresentare una chiara metafora della condizione umana. Insomma, Saramago/Meirelles ci vogliono mostrare degli aguzzini in divisa (i carcerieri che controllano il centro), ma soprattutto come una comune situazione di handicap non porti sempre a una maggiore solidarietà, ma anche allo sfruttamento e alla violenza. Tutto interessante in linea di principio, ma molto meno in due ore al cinema, non proprio il mezzo migliore per rappresentare metafore.

Viene così fuori uno strano oggetto misterioso, che non è né moderno né antico, con un'ambientazione in teoria moderna, ma con certe scelte stilistiche che sembrano legate al passato. Abbiamo di fronte una sorta di viaggio all'inferno (con il personaggio di Julianne Moore come Virgilio del pubblico e degli altri interpreti), che però alla fine diventa una rinascita ottimistica francamente eccessiva (e ben superiore a quello che c'era nel romanzo). La regia di Meirelles è sempre elegante (credo che anche se ci provasse, non riuscirebbe a fare nulla di sciatto) e ha anche delle idee curiose (l'uso delle dissolvenze per far passare il tempo ottiene degli effetti notevoli), ma rimane l'enorme difficoltà di rappresentare la cecità al cinema, se non con delle pennellate di bianco. Magari, sarebbe piaciuto ad Antonioni, un po' meno al pubblico normale.

Peccato che l'attenzione alla tecnica non sia posta anche sulle interpretazioni degli attori. Mark Ruffalo svolge un compitino decente, ma non lascia una grande impressione. Julianne Moore è decisamente sprecata, perché con un talento del genere a disposizione si potrebbero fare ben altre cose. Chi sicuramente risulta insopportabile è Gael Garcia Bernal, in un ruolo esaltato e che supera decisamente i limiti di ogni eccesso. Ma non è neanche il caso di puntare troppo il dito contro gli interpreti, perché di fronte a sequenze che tendono al ridicolo (come la scena di sesso con 'spettatrice' o il lavaggio della morta che sa tanto di 'devo citare qualche pittore importante') non si possono chiedere miracoli agli attori. Si termina con un'overdose di falsa poesia insopportabile, tra scene con i cani ultrametaforiche o con un pianista che si sente dalla finestra. Alla fine, più che una pellicola, a tratti si è avuto l'impressione di vedere una pubblicità della Benetton dei vecchi tempi. Tanta arte presunta, molta paccottiglia reale...

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