C'è qualcuno in casa tua, la recensione

Su un'ambientazione e un mondo molto credibili e interessanti C'è qualcuno in casa tua organizza un racconto molto noto con ben poca voglia

Critico e giornalista cinematografico


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C'è qualcuno in casa tua, la recensione

In un horror adolescenziale una delle prime domande da farsi non è certo come funzionerà l’intreccio, cosa accadrà o se la protagonista ce la farà o meno, semmai è che carattere hanno i compagni di classe bastardi? Chi morirà per primo? Quanto saremo autorizzati a godere delle morti altrui? Che sbilanciamento c’è tra popolari e sfigati? Che motivazioni avrà il serial killer? Da queste risposte dipende gran parte della capacità del film di colpire, il suo senso e il tipo di relazione che stabilirà con il suo pubblico primario, cioè gli adolescenti. C’è qualcuno in casa tua, con questo titolo così sfacciato che potrebbe sembrare una brutta traduzione italiana e invece è fedelissimo all'originale (e al romanzo da cui è tratto), è forse uno dei film più netti e dalla scrittura più chiara in questo senso. Nelle pieghe del solito impianto ha delle cose precise da dire.

Nel liceo di Osborne High c’è un killer, i ragazzi cominciano ad essere uccisi uno ad uno non prima che i loro segreti più reconditi finiscano online, non prima che venga smascherato quel che vogliono nascondere. Il travestimento del killer è una maschera con il volto, ogni volta, della stessa persona che vuole uccidere. I protagonisti sono il gruppo un filo più sfigato degli altri (ma nemmeno troppo), meno allineato e più particolare, nel quale la vera protagonista ha un terribile segreto nel suo passato che la tormenta in incubi che non capiamo bene e che le fa pensare che ad un certo punto toccherà inevitabilmente a lei.

C’è qualcuno in casa tua è così classico nella struttura e nei passaggi che stupisce quando si concede improvvise dilatazioni da Refn, accompagnate da uno score anni ‘80 che sembra ricordare il cinema di Carpenter senza essere finalizzato alla tensione e alla costruzione di un’atmosfera irreale e predatoria, ma semmai alla meditazione della protagonista. Non riuscirà mai a renderci partecipi davvero di questo segreto, mentre ben più interessante è la maniera mostra le classiche divisioni del liceo, come viene integrato un personaggio non binario dichiarato da anni nel gruppo di amici, come la meno sopportabile del liceo, quella che una volta sarebbe stata la cheerleader, sia ragazza tutta tesa verso la tolleranza, l’inclusività e il linguaggio politicamente corretto, cioè che lo usi non perché creda davvero in esso ma perché è l’atteggiamento più utile da tenere per emergere. La nuova moneta di chi vuole apparire superiore.

Un finale che non ha nessun interesse nemmeno a fare un po’ di sforzo di plausibilità distrugge quel minimo di tensione sciogliendola in un tema che solitamente interessava poco i teen horror e invece qui è l’asse che svela ogni mistero, l’atteggiamento predatorio del capitale nei confronti di chi ha meno, l’avidità e l’aridità di una famiglia in cui esiste un’equivalenza precisa (anche se grossolana, ma del resto siamo in un teen horror) tra capitalismo sfrenato e nazismo.

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