Cavaliere Oscuro III – Razza Suprema 1, la recensione

Abbiamo recensito per voi il primo numero di Cavaliere Oscuro III - Razza Suprema, opera di Frank Miller, Brian Azzarello, Andy Kubert e Klaus Janson

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


Condividi

Si definisce razzista colui che predica e pratica il razzismo nella sua accezione storica, cioè intesa come “ideologia, teoria, prassi politica e sociale fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razza umane biologicamente e storicamente ‘superiori’, destinate al comando, e di altre ‘inferiori’, destinate alla sottomissione”. Questa la definizione estrapolata dal vocabolario Treccani. Tale concetto, fortemente distorto, è stato il fulcro intorno al quale i partiti nazionalsocialisti hanno dato il via a una stagione di terrore e morte culminata nella Seconda Guerra Mondiale. La narrativa a fumetti è da sempre sensibile a tematiche così delicate, anche con il suo genere supereroistico, che sembra il meno adatto a trattarlo. Grazie alla maturazione portata avanti negli anni Ottanta da Alan Moore e Frank Miller, i supereroi si scoprono umani e non più divinità e, in quanto tali, costretti a fare i conti con la realtà (politica, dimensione sociale ed economica) nella quale vengono concepiti e inseriti.

Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller e Klaus Janson, storica miniserie il cui esordio risale al 1986, è figlia proprio di quella forte tensione nata tra il blocco geopolitico statunitense e quello russo, di quell’edonismo tipico dell'epoca, con la conseguente perdita dei valori tradizionali e del ruolo sempre più prepotente che i mass-media si stavano ritagliando. Quel capolavoro ancora oggi rappresenta una pietra miliare del genere, che lo stesso Miller ha successivamente ampliato con un secondo capitolo (Il Cavaliere Oscuro Colpisce Ancora), e, adesso, con Cavaliere Oscuro III – Razza Suprema.

In questo atteso e cruciale ritorno, Miller è affiancato da Brian Azzarello ai testi, con Andy Kubert e il tornante Janson ai disegni. Le vicende sono ambientate tre anni dopo rispetto al finale del precedente capitolo; il mondo è convinto che Batman sia definitivamente morto, ma questo viene smentito da alcune immagini e video che iniziano a girare in rete. Alcuni smartphone, infatti, hanno immortalato il Cavaliere Oscuro mentre pestava due poliziotti intenti a fare fuoco su un ragazzo di colore disarmato. Il dibattito rimbalza subito nei talk show, in rete e ripropone l’annosa diatriba tra la tolleranza e la coesistenza di razze diverse.

La trama si concentra poi su Wonder Woman e sua figlia, Lara. Mentre la prima raggiungerà una città a noi ancora ignota con un neonato di nome Jonathan (un altro figlio avuto con Superman?), la seconda indosserà un costume con l’iconico logo del padre, Superman, e si recherà alla Fortezza della Solitudine, dove si fermerà a contemplare in maniera rabbiosa il corpo dell’ultimo figlio di Krypton congelato e inerme. Qui entrerà in contatto con gli abitanti della città di Kandor (ancora rinchiusi in una bottiglia), contrariati da questo status quo. Nel frattempo Gotham vivrà una netta divisione tra chi è galvanizzato per il ritorno sulle scene di Batman e chi, come il Commissario Ellen Yindel, è da sempre contraria a questo tipo di intromissioni.

Tornano, quindi, le tematiche care a Miller, autore in grado di far proprie le ansie e le paure storiche e tradurle in narrazione: la "razza suprema" citata nel titolo e di cui abbiamo disquisito all’inizio, argomenti alla base del successo di questo universo, ritornano prepotenti, adeguandosi alla nostra epoca (il richiamo ai diversi episodi di cronaca nera in cui poliziotti uccidono ragazzi di colore è evidente e centrale nello sviluppo delle prime pagine dell’albo). A questa contemporaneità si affianca l’annoso problema della convivenza tra esseri dalle capacità superumane e i comuni mortali che sembrano subire impotenti le loro azioni. In tal caso risultano lampanti ed esplicative le lacrime di odio e rabbia che Lara versa guardando il padre. La ragazza si chiede come sia stata possibile che delle “formiche” abbiano potuto imprigionare un dio. Questo atteggiamento, figlio dell’irruenza e dell’ardore dei giovani, fa il paio con una sorta di rassegnazione che contraddistingue la madre, Wonder Woman, consumata e segnata dalla convivenza forzata. Desta interesse anche la posizione della Yindel, provata da questo ritorno, segnata dal precedente scontro col Cavaliere Oscuro.

La caratterizzazione dei singoli personaggi, dunque, è accurata e approfondita, mantenendo invariato il fascino di personaggi divenuti ormai iconici anche in questo universo alternativo a quello ufficiale della DC Comics. La narrazione scorre veloce e intensa, in equilibrio tra scene d’azione e altre più introspettive, dense di dialoghi e didascalie, seppur prive del giusto mordente. Un numero che potremmo definire introduttivo, quindi, in cui le pedine vengono schierate sullo scacchiere relegando alla penultima pagina l’unico momento in cui sale la tensione. Di particolare interesse, sia per la veste grafica con la quale viene presentato, che per lo sviluppo della trama stessa, l’inserto dedicato ad Atom. Presentate con il sottotitolo di Dark Knight Universe Presents, queste pagine sono opera di Miller (inchiostrato da Janson), che approfondisce meglio questo personaggio e porta avanti la storyline legata a Lara.

Le matite sono opera di Andy Kubert, già al lavoro sul personaggio nel corso del ciclo di storie scritto da Grant Morrison. L’impatto grafico del volume è altissimo, la qualità delle illustrazioni superba, la costruzione della tavola tiene presente quella geniale intuizione di Miller introdotta proprio nell’86 tra le pagine de Il Ritorno del Cavaliere Oscuro: un dinamismo che lascia l’artista libero di aumentare o diminuire il numero di vignette di ogni tavola adeguandole al ritmo dello storytelling. Soluzioni orizzontali che dilatano e rallentano la narrazione, illustrazioni che quasi si affiancano fitte, si sovrappongono in maniera frenetica a riprendere tempistiche più cinematografiche. A voler cercare il cosiddetto pelo nell’uovo, non convince del tutto lo stile grafico di Kubert, che pecca in personalità. In troppe soluzioni, infatti, l’artista abbandona il suo tratto caratteristico preferendo adottare quello che ha reso celebre Miller. Ripetiamo, si tratta di un particolare che non va a inficiare il risultato globale di questo numero. Se volete ammirare le matite del maestro, basta spostarsi nelle pagine dedicate ad Atom, in cui l’artista statunitense dimostra ancora il suo valore, nonostante gli ormai evidenti problemi di salute.

Non resta che attendere, dunque, i prossimi capitoli della storia per scoprire come si evolverà la situazione e quali implicazioni comporterà questo ennesimo, nuovo scontro ideologico.

Continua a leggere su BadTaste