Cuphead è un capolavoro, ma solo d'estetica - Recensione

Oltre all’art design c’è qualcosa, ma non troppo: la recensione di Cuphead

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Cuphead deve moltissimo all’hype e alle grandi attese che ha saputo creare nel corso del lungo periodo che ha separato l’annuncio ufficiale, parliamo del 2014, all’effettiva pubblicazione ed esordio su PC e Xbox One. Parliamo di un processo per molti versi controverso, controproducente e penalizzante, ma che ha avuto anche il grande pregio di infervorare lo zoccolo duro di appassionati del genere e non, ammaliati dalle promesse di un art design pazzesco e di un livello di difficoltà che avrebbe riportato indietro nel tempo i videogiocatori più attempati, galvanizzati dal nuovo trend inaugurato da Dark Souls e sempre a caccia di avventure impegnative, complesse, difficili da padroneggiare.

Premessa necessaria e dovuta: nessuno vuole e può mettere minimamente in dubbio i valori produttivi del gioco. Graficamente, Cuphead è un vero gioiellino, meritevole del clamore mediatico che ha saputo sollevare sin dal primissimo, striminzito video, che lo ha presentato al mondo intero.

[caption id="attachment_177870" align="aligncenter" width="1920"]Cuphead screenshot Raccogliendo alcune monete sparse per i livelli potrete acquistare vite extra, nuove modalità di fuoco e poteri speciali.[/caption]

Interamente disegnato a mano, il comparto tecnico è una pura gioia per gli occhi, un vero e proprio cartoon interattivo in stile anni ’30, iconograficamente vulcanico per la lunga serie di rimandi e citazioni che trasudano da ogni ambientazione e personaggio che si palesa sullo schermo. I livelli traboccano di dettagli, di piccoli particolari che arricchiscono la scena, la animano, la rendono viva e vibrante. Le animazioni che muovono il duo di protagonisti, e la moltitudine di nemici che gli metteranno i bastoni tra le ruote, sono fluidissime, strepitosamente realizzate, in alcuni casi ipnotiche per il tripudio di effetti speciali che trainano e attivano."Non ci sono veri e propri demeriti. Manca il guizzo, il quid, la trovata geniale, sia nelle meccaniche che regolano il gameplay, classico e arcaico fino alle estreme conseguenze, sia negli scontri con i boss"

Il tutto poi è supportato da un comparto audio all’altezza, bipartito in effetti ben campionati e in una colonna sonora che, affondando le sue radici nel jazz, riesce a non essere mai ripetitiva, orecchiabile, piacevole.

L’impegno profuso da Studio MDHR è insomma fuori da ogni discussione, meritevole di ogni lode già solo per aver dotato la propria creatura di un aspetto estetico così efficace, graffiante, inusuale.

Purtroppo, sul piano prettamente ludico, le cose vanno un filino peggio, non al punto da castrare in toto le attese dei fan, ma indiscutibilmente Cuphead non è quel capolavoro annunciato che in molti si aspettavano, né rappresenta l’erede diretto di Metal Slug, Gunstar Heroes e compagnia bella. Non ci sono veri e propri demeriti. Manca il guizzo, il quid, la trovata geniale, sia nelle meccaniche che regolano il gameplay, classico e arcaico fino alle estreme conseguenze, sia negli scontri con i boss, che a conti fatti rappresentano il fulcro principale, se non l’unico, attorno cui si sviluppa l’intera avventura.

[caption id="attachment_177872" align="aligncenter" width="1200"]Cuphead screenshot Alcuni livelli vi vedranno a bordo di piccoli aeroplani. In queste fasi i termini di paragone diventano R-Type e Darius, ma anche in questo caso il paragone non regge come si vorrebbe.[/caption]

La scusa che giustifica la mattanza è tanto fragile che nemmeno meriterebbe di essere citata, ma si inserisce alla perfezione con lo stile del gioco e, fattore tutt’altro che secondario, ha consentito agli sviluppatori di infarcire l’avventura di suggestioni, anche molto forti, che hanno a che vedere con la dipendenza dall’alcool, dal fumo, sino a sconfinare nell’esoterico e nel misticismo con numerosi riferimenti religiosi profusi qui e là. Perdendo una scommessa con il Diavolo in persona, Cuphead e Mugman sono costretti a riscuotere le anime di chi è in debito con il signore degli inferi, uccidendoli, uno dopo l’altro, in una trentina di livelli che per la maggior parte, come già accennato, non sono altro che scontri diretti con i boss.

Cuphead e Mugman, anche in coppia grazie al co-op locale, possono saltare, sparare in qualsiasi direzione, effettuare uno scatto e, all’occorrenza, parare, deflettere o rimbalzare attraverso i proiettili nemici e le strutture colorate di rosa dell’ambientazione. Questa mossa, sulle prime quasi superficiale, è in realtà l’unica vera feature che caratterizza l’esperienza, croce e delizia di questo shooter bidimensionale, che non eccede mai con ritmi forsennati, ma che non si fa scrupoli a ridicolizzare le abilità con il pad dell’utente di turno.

I boss abbondano di pattern d’attacco, mentre game over dopo game over, lentamente ma sensibilmente, ci si scopre sempre più abili e a proprio agio tra proiettili da schivare e sciami di scagnozzi da eliminare senza pietà. Cuphead, pregio non da poco, non è mai frustrante, sebbene sia un gioco difficile, quasi impossibile se ci si mette in testa di superare ogni schema con la valutazione massima.

Purtroppo, i limiti di level design non tardano a palesarsi, nonostante la qualità generale resti sempre alta. Se già gli scontri con i boss non esibiscono chissà quale inventiva, né volontà di giocare con le meccaniche tirate in ballo, nella manciata, sei per la precisione, di ambientazioni in cui vi dovrete destreggiare anche in fasi platform, si lamenta con tanta più forza la mancanza di originalità, di voglia di osare, di coraggio.

[caption id="attachment_177871" align="aligncenter" width="1200"]Cuphead screenshot Nonostante i tanti rimandi e citazioni, a volte l’iconografia di Cuphead sembra confusa e priva di un senso logico di fondo.[/caption]

C’è invece un difetto su cui si fatica a soprassedere completamente. La mossa che consente di interagire con gli elementi colorati di rosa, quando attivata, rallenta per una frazione di secondo l’azione. Nessun problema in singolo, diverso il discorso in co-op, dove questa interruzione del flusso temporale può mandare completamente fuori ritmo l’alleato, con conseguenti game over. Questo è solo uno dei tanti piccoli indizi, tutti legati al level design, che suggeriscono un'unica conclusione: Cuphead non è un gioco partorito e progettato avendo fisso in mente il co-op, la modalità cooperativa è una feature che è stata aggiunta in corsa, senza una corretta e completa rilettura di ogni parte costituente della produzione. Non elimina il divertimento, perché in due l’avventura guadagna enormemente in termini di coinvolgimento, ma è l’ennesima sbavatura che ridimensiona le ambizioni della creatura di Studio MDHR.

Cuphead è un degno sparatutto a scorrimento bidimensionale, fiero esemplare di una tradizione mai sopita che continua ad avere tanti estimatori in giro per il mondo. Purtroppo non è il nuovo Mega Man, né il punto d’incontro tra Metal Slug, parliamo dei capitoli migliori, beninteso, e Gunstar Heroes. È un gioco ben più che discreto, ma non può affatto misurarsi con i grandi classici, non fosse per un comparto estetico strepitoso e ammaliante. Divertente e meritevole di tutte le attenzioni dei fan, ma non cambierà di una virgola la storia degli sparatutto.

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