Cattivissimo Me 3, la recensione
Con il minimo grado immaginabile di inventiva, Cattivissimo Me 3 continua le avventure della famiglia Gru aggiungendo un fratello gemello creduto perduto
Il primo film della serie metteva un uomo senza figli a contatto con delle bambine orfane, fino a che la tenerezza delle seconde non scioglieva il cuore del primo tradendo (fin da lì) il titolo. Il secondo aggiungeva all’equazione una figura pseudo-materna, la storia dell’ingresso di una nuova nel nucleo familiare. Ora Cattivissimo Me 3 allarga un altro po’ la famiglia con i parenti più lontani: arriva lo zio ricco.
A essere realmente diverso dal solito è allora il solo villain, che in omaggio alla tradizione è il vero personaggio centrale del film. Un bambino attore degli anni ‘80 (quasi ‘90) che ha perso il lavoro quando è cresciuto e ora si è rivolto al male ma è convinto ancora di essere negli anni ‘80. C’è insomma la presa in giro della retromania e dell’ossessione per il vintage, ma come sempre nei prodotti di Chris Meledandri tutto è finalizzato ad accarezzare il pelo del pubblico, dunque non c’è mai un vero attacco, una presa in giro seria, dura, anzi c’è un certo senso di esaltazione e ammirazione, è tutta una scusa per mettere in scena un po’ di canzoni, abiti, oggetti tipici, ballo, tagli di capelli anni ‘80 e ricordarli con affetto.
Non ci si può insomma dire davvero stupiti se anche il terzo film della serie Cattivissimo Me (quarto se si conta lo spin-off Minions) è impalpabile, incolore e insapore come chi l’ha preceduto. Il fatto che il franchise abbia un pubblico anagraficamente più basso del resto dell’animazione sofisticata non dovrebbe costituire una scusa accettabile per un lavoro così ordinario e poco audace, così convenzionale e al ribasso, pronto a immaginare e inventare meno ad ogni nuovo film. Così noioso che, incredibile a dirsi, le parti più eccitanti ogni volta sono i nuovi doppiatori italiani. Qui Paolo Ruffini.