Cattivissimo Me 3, la recensione

Con il minimo grado immaginabile di inventiva, Cattivissimo Me 3 continua le avventure della famiglia Gru aggiungendo un fratello gemello creduto perduto

Critico e giornalista cinematografico


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Come tutti i veri world movie che si rispettino, quei film interessati più all’incasso nel resto del mondo che nel proprio paese, anche la saga di Cattivissimo Me racconta il formarsi di una famiglia non convenzionale, il contrasto per eccellenza che mette in scena valori condivisi in tutto il mondo e che l’animazione, fin dai classici Disney, più ha raccontato.

Il primo film della serie metteva un uomo senza figli a contatto con delle bambine orfane, fino a che la tenerezza delle seconde non scioglieva il cuore del primo tradendo (fin da lì) il titolo. Il secondo aggiungeva all’equazione una figura pseudo-materna, la storia dell’ingresso di una nuova nel nucleo familiare. Ora Cattivissimo Me 3 allarga un altro po’ la famiglia con i parenti più lontani: arriva lo zio ricco.

Le avventure sono sempre le stesse, c’è Gru che resiste alla tentazione di essere cattivo e nel farlo combatte un vero cattivo. I minion ovviamente hanno la loro parte, pretestuosamente allontanati dai protagonisti nella maniera meno fantasiosa (litigano), sono sempre più indipendenti e quindi liberi di indugiare sul tono demenzial-loony tunes che il resto del film non ha. In più però stavolta anche gli altri personaggi hanno un’avventura propria che sempre di più ha le caratteristiche effimere e ininfluenti degli archi narrativi autoconclusivi da episodio di una seria animata per la tv: Agnes deve trovare un unicorno vero per sostituire quello di pezza; Lucy si sente inadeguata come madre adottiva e vuole farsi accettare da queste figlie come donna con cui relazionarsi.

A essere realmente diverso dal solito è allora il solo villain, che in omaggio alla tradizione è il vero personaggio centrale del film. Un bambino attore degli anni ‘80 (quasi ‘90) che ha perso il lavoro quando è cresciuto e ora si è rivolto al male ma è convinto ancora di essere negli anni ‘80. C’è insomma la presa in giro della retromania e dell’ossessione per il vintage, ma come sempre nei prodotti di Chris Meledandri tutto è finalizzato ad accarezzare il pelo del pubblico, dunque non c’è mai un vero attacco, una presa in giro seria, dura, anzi c’è un certo senso di esaltazione e ammirazione, è tutta una scusa per mettere in scena un po’ di canzoni, abiti, oggetti tipici, ballo, tagli di capelli anni ‘80 e ricordarli con affetto.

Alla fine tutto finirà in gloria con un nuovo membro della famiglia (Dru, il gemello perduto di Gru) e una maggiore conoscenza sulle origini della stessa. All’appello manca solo il padre di Gru e Dru e si può rimediare facilmente.

Non ci si può insomma dire davvero stupiti se anche il terzo film della serie Cattivissimo Me (quarto se si conta lo spin-off Minions) è impalpabile, incolore e insapore come chi l’ha preceduto. Il fatto che il franchise abbia un pubblico anagraficamente più basso del resto dell’animazione sofisticata non dovrebbe costituire una scusa accettabile per un lavoro così ordinario e poco audace, così convenzionale e al ribasso, pronto a immaginare e inventare meno ad ogni nuovo film. Così noioso che, incredibile a dirsi, le parti più eccitanti ogni volta sono i nuovi doppiatori italiani. Qui Paolo Ruffini.

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