Cattiverie a domicilio, la recensione
Un fatto vero è raccontato in Cattiverie a domicilio sfruttandone le potenzialità di commedia ma pretendendo di trasformarlo in femminismo
La recensione di Cattiverie a domicilio, il film in uscita in sala il 18 aprile
Sharrock è già responsabile per lo zuccherosissimo e banalissimo The Beautiful Game (su Netflix) per questa commedia invece mette su il tono e il look più presentabili, quello da cinema da grandi occasioni e grandi conflitti. Nella storia delle lettere meschine infatti ne vengono inserite una serie di altre: quella della famiglia alternativa e “diversa” che viene subito incolpata, quella della poliziotta poco considerata perché donna che vuole indagare, e quella di Olivia Colman, la più colpita e la più “per bene” tra le vittime delle lettere, che vive in un nucleo molto maschilista una vita repressa. Sono tre donne in modi diversi messe da parte da una società che non vuole starle ad ascoltare.
Che poi alcuni tra i migliori attori su piazza siano presi per replicare lo stereotipo più collegato alla loro carriera (Olivia Colman falsa e cortese, Timothy Spall burbero retrogrado e Jessie Buckley vivace, ribelle e piena di vita) non li aiuta a dare il meglio, anzi li invita a sedersi, ripetersi e rifare se stessi.