Caterina la Grande: la recensione
In Caterina la Grande l'ennesima prova attoriale di Helen Mirren nel ruolo di sovrana è fiaccata da una sceneggiatura troppo semplice
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Fisico minuto e sguardo d'acciaio, Helen Mirren è una delle interpreti per eccellenza della regalità, al cinema, in teatro, e ora anche in tv. E Caterina la Grande è solo l'ultimo tassello di una carriera costellata da varie interpretazioni del potere monarchico, e dell'algida solitudine che esso comporta. Tuttavia, in questa miniserie co-prodotta da Sky Atlantic e HBO l'interprete si scontra con i limiti di una sceneggiatura fiacca e superficiale. Qui le vicende storiche, con una netta predilezione per quelle intime e sentimentali, della zarina di Russia sono portate allo spettatore da un punto di vista basilare e raramente carico di sfumature.
Ad un certo punto, Caterina pronuncerà le parole "la politica è l'arte dell'equilibrio". Tuttavia la sceneggiatura di Nigel Williams potrebbe aver confuso la ricerca dell'equilibrio con una più timida semplicità. I dialoghi, le motivazioni e le caratterizzazioni che muovono la storia sono diluiti attraverso un intreccio pluridecennale in cui tutto è fin troppo lineare e superficiale. La prima mezz'ora accavalla una spiegazione eccessiva dopo l'altra su chi sono i personaggi, cosa vogliono, cosa è accaduto loro. Ad un certo punto non ci sarà più bisogno di puntualizzare ogni situazione, ma la miniserie a quel punto diventerà del tutto dipendente dal rapporto amoroso sofferto tra Caterina e Potemkin.
Lo sfarzo di un palazzo della Lettonia, sede delle location, è altresì appiattito da una messa in scena che, al pari del resto, sembra dire molto ma racconta poco.