Casablanca Beats, la recensione | Cannes 74

Studenti e professori a Casablanca alle prese con il rap come forma di emancipazione. Ma di film come Casablanca Beats ne vediamo a palate

Critico e giornalista cinematografico


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Casablanca Beats, la recensione | Cannes 74

Di film come Casablanca Beats in Francia se ne producono molti (uno addirittura l’abbiamo fatto anche noi, La mia classe con Valerio Mastandrea). Sono quelle storie di ambientazione scolastica in cui guardiamo una classe intera di ragazzi discutere, arrabbiarsi e far scontrare le reciproche visioni di mondo animatamente, manifestando vitalità giovanile unita ad una tempesta ingenua e naif di idee. Sono film dallo sguardo pienamente paternalista, storie vissute dal punto di vista del professore, la grande guida e bussola morale che lotta in un sistema difficile per migliorare situazioni complicate, mentre i ragazzi invece sono guardati con la tenerezza di chi ragazzo non lo è più. Il mondo come ci piace immaginarlo e non com'è davvero in film mai ad altezza adolescenti ma sempre ad altezza genitori.

Casablanca Beats non va in deroga a nessuna di queste regole. Anzi. Le rispetta tutte e cerca la sua tenerezza esattamente dove la cercano di solito questi film, nei più deboli. I ragazzi e le ragazze dotati ma con una famiglia difficile, i bulli che a loro volta hanno problemi e i più sensibili che vanno aiutati a trovare la propria strada.
Stavolta però non c’è il consueto clash di culture che caratterizza le scuole francesi ma anzi l’omogeneità di un quartiere di Casablanca, in cui i ragazzi sembrano molto più moderni e vogliosi di non essere ingabbiati dalla morale religiosa dei loro genitori ma che proprio con loro devono scontrarsi. A motivarli è il rap, perché la scuola in questione è una scuola di arti e loro frequentano corsi di musica. Il rap come strumento non solo di espressione ma anche di affermazione. Il professore duro immancabilmente si scioglierà davanti agli amori e alle storie di questi ragazzi in difficoltà e pieni di sogni.

Un film come Casablanca Beats è puro feel good cinema con piccoli drammi e privo di un vero protagonista. È l’ensemble a fare la differenza e il professore ha il solo compito di smistare il traffico, ordinare le storie, dare ritmo ad ogni passaggio (dalla storia della ragazza con una famiglia difficile, a quella del ragazzo sbruffone a quella della tenera innamorata). Alla fine le storie arrivano a conclusione, qualcuna bene, qualcuna male e come in un film tenero dei Vanzina la sensazione è che questo gruppo che si è unito, finita l’annata si scioglierà per un domani più incerto.
A noi resta semmai da capire a cosa abbiamo assistito.

Cos’è Casablanca Beats? Un placido film per tutta la famiglia in cui c’è una storia per ogni tipo di spettatore e alla fine il bene trionfa? Se è così allora è perfettamente riuscito. Invece se è un film che vuole raccontare una parte di Marocco meno comune, se vuole mettere in relazione personaggi e sfondo, se vuole rompere con un certo tipo di linguaggio e imporne uno diverso allora no. È lontanissimo dall’essere riuscito e anzi è la copia della copia della copia, di un’idea che era interessante la prima volta e già alla seconda declinazione appariva ripetitiva.

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