Casa Casinò, la recensione

Pensato per le famiglie ma in realtà in grado di massacrare la mitologia quieta del quartiere residenziale, Casa Casinò sta in piedi per Will Ferrell

Critico e giornalista cinematografico


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Sembra che a fare le commedie di grana grossa, quelle più dure e senza scampo, siano rimasti solo un pugno di comici televisivi. Tra questi Will Ferrell, ad oggi è il più prolifico, il più sveglio e (non da oggi) il più interessante.

Si avvicendano gli sceneggiatori ma non cambia il suo ruolo, adulto mediamente scemo e indottrinato in cui batte il cuore di un ragazzino e la voglia di aderire alla mitologia della tv. Stavolta con Amy Poehler (che qui brilla meno del solito) non ha il coraggio di dire alla figlia pronta a partire per il college che non hanno più i soldi per mandarcela. Piuttosto che farlo organizza un casinò illegale in casa sua con un amico ancora più disperato. La dinamica dunque è la solita, un rimedio esagerato ed infantile ad un problema contingente.

Ci sono Andrew Jay Cohen e Brendan O’Brien dietro il film, ovvero i due sceneggiatori di Cattivi Vicini, che riprendono una storia di vicinato, cattiverie, rivalità sopite e terribili dinamiche da quartiere residenziale. Quello infatti della vita placida della suburb è il punto in cui si incontrano i desideri dei due sceneggiatori e quello (da sempre) di Will Ferrell, prendere in giro e massacrare la stabilità, la medietà e la soddisfatta insulsaggine delle vite medio borghesi per come sono promosse dalla pubblicità e dai media. Nel casinò ognuno perde la propria rispettabilità, cade la maschera perbene che regge rapporti finti, si sfogano rivalità ataviche in combattimenti clandestini con scommesse. Tutto quel che di pulito ed ordinato c’è nelle vite dei vicini muore all’ingresso nel casinò, luogo di sfogo di ogni passione ed emozione.

Will Ferrell e Amy Poehler stessi, due coniugi che non consumano, si sfogheranno nella violenza in cui li porterà il casinò e che finiranno per smascherare involontariamente una truffa a livelli più alti.

Eppure, di nuovo, sono i dettagli che introduce Will Ferrell a fare la partita. Da un elemento scemo come il fatto che il suo personaggio prova vertigini davanti ai numeri, Ferrell costruisce una serie di gag sempre più penetranti, sempre più inserite nel flusso delle scene, più invisibili e quindi inattese. Pescando dal suo repertorio crea un boss mafioso armato di accetta imbecille come pochi altri. E il suo volto, eternamente ingenuo che trattiene a fatica gli istinti primari mascherandoli così male da far ridere, è il film stesso. Will Ferrell è, in buona sostanza, l'unico che distrugge il mito dell'everyman americano affermandolo.

Casa Casinò è un film figlio di Adam McKay ovviamente (il genio di Anchorman e Ricky Bobby, che qui produce), di quel modo di trasferire l’umorismo televisivo al cinema, sviluppando sempre di più, di film in film, un atteggiamento morbidamente sovversivo. Le esistenze tranquille, l’abbigliamento, i sorrisi e i rituali familiari da spot pubblicitario, la vita placida della media classe americana e dietro gli insopprimibili istinti giovanili, il desiderio di fare tutto quello che (a parole) si è rinunciato a fare e ci si è lasciati dietro. Gli americani come adulti che covano dentro di sè un eterno ragazzino adolescente, gonfio di desiderio di ribellione.

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