Casa Casinò, la recensione
Pensato per le famiglie ma in realtà in grado di massacrare la mitologia quieta del quartiere residenziale, Casa Casinò sta in piedi per Will Ferrell
Si avvicendano gli sceneggiatori ma non cambia il suo ruolo, adulto mediamente scemo e indottrinato in cui batte il cuore di un ragazzino e la voglia di aderire alla mitologia della tv. Stavolta con Amy Poehler (che qui brilla meno del solito) non ha il coraggio di dire alla figlia pronta a partire per il college che non hanno più i soldi per mandarcela. Piuttosto che farlo organizza un casinò illegale in casa sua con un amico ancora più disperato. La dinamica dunque è la solita, un rimedio esagerato ed infantile ad un problema contingente.
Will Ferrell e Amy Poehler stessi, due coniugi che non consumano, si sfogheranno nella violenza in cui li porterà il casinò e che finiranno per smascherare involontariamente una truffa a livelli più alti.
Casa Casinò è un film figlio di Adam McKay ovviamente (il genio di Anchorman e Ricky Bobby, che qui produce), di quel modo di trasferire l’umorismo televisivo al cinema, sviluppando sempre di più, di film in film, un atteggiamento morbidamente sovversivo. Le esistenze tranquille, l’abbigliamento, i sorrisi e i rituali familiari da spot pubblicitario, la vita placida della media classe americana e dietro gli insopprimibili istinti giovanili, il desiderio di fare tutto quello che (a parole) si è rinunciato a fare e ci si è lasciati dietro. Gli americani come adulti che covano dentro di sè un eterno ragazzino adolescente, gonfio di desiderio di ribellione.