Cars

Saetta McQueen, astro nascente dell’automobilismo, si sta preparando alla corsa più importante della sua vita, quando si ritrova bloccato in una cittadina in mezzo al nulla. La Pixar finora aveva realizzato solo grandi film, ma purtroppo c’è sempre una prima volta…

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Come tutte le cose, doveva succedere anche questo: la Pixar fa un brutto film. Per carità, intendiamoci, non siamo di fronte ad una pellicola orrenda. Ma il problema è che la casa di John Lasseter ci aveva abituato troppo bene, sfornando praticamente capolavori in serie.
E’ abbastanza ovvio che il rapporto con la Disney ha molto a che fare con i problemi di questo film. Infatti, questo era l’ultimo titolo che la Pixar doveva consegnare per contratto, in una situazione peraltro in cui sembrava che il rapporto tra le due società non dovesse continuare. Ovviamente, non è il caso di pensare ad un fallimento voluto (un ‘Primavera per Hitler’ a cartoni?), ma non è un caso che siamo di fronte ad un film chiaramente senza reali possibilità di sequel e con personaggi decisamente meno accattivanti del solito.

Detto questo, la Pixar si è contraddistinta negli anni per due cose. La qualità dell’animazione, sempre all’avanguardia. E l’intelligenza di sapere che non si può puntare solo sull’aspetto tecnico, ma che bisogna soprattutto cercare di avere una storia avvincente e ben costruita. Sul primo punto, niente da dire. L’animazione in 3D (se possibile) ha fatto un ulteriore passo in avanti, come dimostra l’incredibile corsa iniziale, ma anche tanti piccoli particolari (guardate come è realistico anche uno spruzzo d’acqua).

Ma sul fronte sceneggiatura ci sono dei problemi enormi. Intanto, è chiaro che l’ossessione di Lasseter per le automobili ha preso decisamente il sopravvento. Se il regista sembra ben contento di mostrarci semplicemente la bellezza delle vetture, lo spettatore che non ha la stessa passione rischia profondamente la noia. In particolare, la prima parte è lentissima e per lo più inutile, soprattutto per un errore pacchiano e imperdonabile. Infatti, ci vuole almeno un’ora e un quarto prima che la ‘macchina’ protagonista, Saetta McQueen, acquisti un minimo di simpatia, in modo che lo spettatore possa provare un briciolo di interesse. Compito reso ancora più difficile dalla mancanza di background (perché è così spocchioso? Cosa è successo nella sua vita che lo ha fatto diventare così?), un difetto che invece non si riscontra in altri personaggi.

E che dire delle ‘svolte’ della storia, in realtà tutte prevedibilissime (tranne un buon finale per la competizione, ma nulla di sconvolgentemente originale). Ed è incredibile che la scena più divertente avvenga sui titoli di coda (!) e soprattutto sia decisamente frutto dell’esperienza passata. Stendo poi un velo pietoso sul solito doppiaggio italiano, che privilegia come solito i comici televisivi ai professionisti del settore. Ma questa è una battaglia persa prima del via…

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