Carol, la recensione

Immerso in un'idea di cinema oggi difficilissima da realizzare, Carol cerca tramite il corpo di Cate Blanchett di tenere in vita un genere (forse) morto

Critico e giornalista cinematografico


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Da diversi anni sembra l’unico anfratto di cinema in cui è ancora possibile girare melodrammi, cioè film che abbiano al loro centro lo struggimento sentimentale di due corpi che si desiderano ma sono tenuti in scacco da due menti vittime di condizionamenti esterni, sia il cinema omosessuale. Registi omosessuali, sceneggiatori omosessuali o storie omosessuali, o ancora tutto questo insieme come per Carol (ma già Brokeback Mountain lo era) sono ad oggi il baluardo più sincero e onesto del contrasto che da sempre esiste al cinema tra desiderio carnale e inibizioni razionali, le uniche condizioni in cui questo prende il centro del palco invece di essere un contorno.

È lo stesso motivo per il quale per fare un melodramma oggi è necessario un contesto che non sia quello quotidiano, una condizione fuori dal normale che per l’appunto riporti al centro di tutto questo contrasto. Gli anni ‘50 e ‘60, la società conformista e le regole bigotte del periodo d’oro del melodramma rimangono per questo il setting prediletto.
Carol mette in scena tutto questo, il tentativo moderno di leggere attraverso la lente dell’amore omosessuale un contrasto che nella modernità della società contemporanea sembra impossibile. Qui e oggi lo struggimento di Carol non esiste e Haynes dunque lo ambiente nel passato, trova un’ambientazione in cui poter ancora parlare della forza del corpo e dei suoi desideri come già fece in Lontano dal paradiso. Ammira un intreccio tragico per il piacere di guardare di nuovo ciò che ama.

Filtro del filtro, Carol è cinema che non vuole parlare della contemporaneità dunque, che non guarda al passato per descrivere il presente, non ne ha voglia nè intenzione, semmai guarda al passato per raccontare storie oggi impossibili, perché innamorato di un modo di intendere vita e amore che è potente perché vive di contrasti potenti. Nel fare questo Haynes è bravissimo a mescolare conoscenza del genere e piccole variazioni assieme alla necessità di lavorare di fino per narrare quel che oggi si può dire senza mostrare quel che ieri non si poteva mostrare. Calandosi in panni d’altri tempi cerca di mediare tra la maniera in cui un film oggi parla al pubblico e le regole del genere fissate decenni fa.
È per questo che nel gioco di coppia Cate Blanchett ha un ruolo più centrale di Rooney Mara, perché ci sembra che il film sia più intorno a lei, perché è sul suo corpo (e quindi tramite la sua recitazione) che si misura questo contrasto. Non tanto quello espresso dalla storia (tra carne e ragione) ma quello tra il linguaggio del cinema contemporaneo e l’esigenza di lavorare su una forma che appartiene ad un’altra epoca. Intorno ai movimenti e alla comunicazione di Cate Blanchett si gioca la plausibilità contemporanea di questo film fuori dal tempo e il trionfo di quest’attrice misura la riuscita dell’operazione.

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