Carol e la fine del mondo (stagione 1), la recensione
Carol e la fine del mondo è una serie d'animazione piacevole, che però fa della lentezza la propria cifra stilistica
La recensione della prima stagione di Carol e la fine del mondo, serie animata disponibile su Netflix.
Carol e la fine del mondo è infatti uno show animato per adulti, sulla scia di opere come BoJack Horseman. Il target “maturo”, infatti, non è da legare esclusivamente alla presenza di parolacce e/o alle scene di nudo, bensì alle profonde tematiche trattate. Tematiche che finiscono per ragionare sul senso della vita, dei rapporti umani e delle proprie passioni, puntando così i riflettori su personaggi tormentati e dalle anime frastagliate. Questa narrativa viene poi accompagnata da un comparto grafico dal design grottesco, sviluppato per l’occasione da Netflix Animation.
LA FINE DEL MONDO
La trama di Carol e la fine del mondo racconta una storia dove il contesto è la chiave di volta. L’enorme pianeta denominato Kepler-9C sta per abbattersi sulla Terra, spazzando via una volta per tutte la razza umana. Secondo gli scienziati, al mondo rimangono solamente sette mesi di vita e questa notizia porta ovviamente il caos per le strade. Dopo i primi momenti di panico, però, le persone si rendono conto di non aver mai vissuto davvero e iniziano quindi a godersi ogni modo possibile. La maggior parte degli esseri umani abbandona il proprio lavoro per fare una sola cosa: vivere. Per Carol, una donna insicura e depressa, le cose non sono però così semplici. Mentre cerca di capire quale possa essere il suo futuro, Carol si imbatte in un grattacielo dove, apparentemente, è ancora presente un ufficio completamente operativo.
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Evitiamo di entrare nel dettaglio non rovinarvi la visione dei primi episodi, incentrati proprio sulla scoperta dell’ufficio misterioso. In ogni caso, Carol e la fine del mondo è uno show dai tempi estremamente dilatati che ragiona sulla psicologia della razza umana. Grazie al contesto legato all’imminente apocalisse, infatti, possiamo scoprire quanto i legami siano fondamentali e quanto vengano sacrificati nella vita di tutti i giorni. Si finisce spesso per dare le emozioni per scontate, preferendo concentrare le nostre attenzioni sulla salute, sulla carriera e sul divertimento. La scrittura talvolta può risultare un po’ troppo lenta, ma la verità è che la nuova serie Netflix non annoia mai. Merito soprattutto di personaggi tridimensionali e dei rapporti che li legano. Rapporti ben scritti, che ci hanno fatto empatizzare rapidamente con tutti i protagonisti.
SLICE OF LIFE A COLORI
Nonostante talvolta vengano riportati alcuni elementi interessanti su ciò che accade nel resto del pianeta, Carol e la fine del mondo si concentra principalmente sugli eventi del quotidiano di un ristretto numero di personaggi. Questo dà vita a una storia appartenente al genere degli slice of life e che viene costruita attraverso episodi a trama verticale, risolvendosi nei 25-30 minuti di durata. Il finale di stagione, di conseguenza, non ha il sapore di un vero e proprio finale, lasciando aperto uno spiraglio per eventuali nuove puntate. Puntate che, alla fine, guarderemmo molto volentieri, nella speranza però che venga data maggiore coesione al progetto, magari seguendo un’unica storia che si dirami nel corso dei futuri episodi.
Da un punto di vista artistico, lo show di Netflix abbina personaggi grotteschi a fondali mozzafiato. Siamo rimasti estasiati da alcune palette cromatiche, che hanno contribuito a trasmettere l’atmosfera “lounge” dell’intera produzione. Da applausi, invece, il comparto sonoro, che mescola una soundtrack realizzata da Joe Wong con canzoni celebri posizionate sempre al momento giusto per potenziare le emozioni dettate dalla storia.
Carol e la fine del mondo si è rivelata una serie estremamente piacevole. Uno show lento e delicato, che punta a far riflettere il pubblico sulla vita e sui suoi ritmi spesso troppo frenetici. Un po’ come la sua protagonista, ci siamo trovati a ragionare sui nostri legami e sui nostri errori. Non sappiamo ancora cosa faremmo nel caso scoprissimo di avere sette mesi di vita, ma quel che è certo è che dopo aver visto questa serie abbiamo cominciato a porci questa domanda. Un risultato che, già di per sé, dimostra quanto Dan Guterman sia riuscito ancora una volta a comprendere l’essere umano e a giocare con la sua mente.
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