Carnival Row (stagione 2): la recensione
La stagione 2 di Carnival Row chiude la storia in modo soddisfacente, ma senza mai sfruttare completamente il potenziale della serie
La recensione della stagione 2 di Carnival Row, disponibile dal 17 febbraio su Prime Video
Le puntate precedenti avevano, seppur con qualche difficoltà, gettato le basi per la costruzione di una realtà fantasy con molti punti in comune con la società contemporanea e con tematiche tristemente senza tempo come razzismo e intolleranza. Il secondo capitolo della storia, cercando di chiudere le varie parti della storia, prova a dare maggior profondità agli eventi e ai personaggi, scivolando però più volte inesorabilmente verso situazioni prevedibili e soluzioni poco incisive.
La trama della stagione 2 di Carnival Row
I nuovi episodi di Carnival Row riprendono la storia poco dopo il finale della prima che aveva mostrato il lockdown imposto dal cancelliere di Burgue, Jonah Breakspear (Arty Froushan). Il ghetto è controllato da persone armate e si è pensato a tutti i modi possibili per impedire alle fate di volare. La situazione è inoltre resa ancora più drammatica da un'epidemia mortale. Vignette Stonemoss (Cara Delevingne) collabora con i Black Raven guidati da Dhalia (Chloe Pirrie), mentre l'ex ispettore Rycroft "Philo" Philostrate (Orlando Bloom) si ritrova a dover indagare su una serie di terrificanti omicidi.
Tourmaline Larou (Karla Crome) scopre invece di avere dei poteri sovrannaturali ereditati dalla strega Aoife (Alice Krige) che potrebbero segnare il suo destino e quello di chi le sta accanto.
Runyon Millworthy (Simon McBurney), in passato un artista di strada, è ora diventato un consigliere del cancelliere, ma si ritrova in difficoltà nel gestire la sua lealtà nei confronti di Jonah e il rispetto che prova nei confronti di chi vive tra le mura di The Row.
Nelle puntate si scopre inoltre cosa accade dopo che Imogen Spurnrose (Tamzin Merchant) e Agreus Astrayon (David Gyasi) sono fuggiti da The Burgue e dal fratello della giovane, Ezra (Andrew Gower).
Una storia fantasy che riflette la realtà contemporanea
Lo showrunner Erik Oleson, con la prima stagione, aveva delineato un mondo affascinante gettando le basi di una mitologia affascinante che sfrutta in modo intelligente le tematiche più attuali della società contemporanea. La costruzione dei personaggi era inoltre stata portata avanti con cura per permettere alla narrazione di intrattenere e, al tempo stesso, far riflettere sulle problematiche rappresentate e sui punti di contatto con la realtà.
La seconda stagione prosegue lungo la stessa strada, ma fatica più del dovuto nella gestione dei personaggi. Lo spazio dato alle tematiche sociali - dalla segregazione alla ribellione nel confronto delle autorità, dall'accettazione della propria diversità ai compromessi che si è disposti a compiere pur di raggiungere i propri obiettivi - è diventato ancora più centrale e la struttura narrativa ne paga, in modo un po' eccessivo, le conseguenze. Gli sviluppi delle storie personali sono infatti costruiti in modo fin troppo razionale tenendo conto del messaggio che si vuole sostenere con le varie svolte e sorprese del racconto, arrivando a modificare anche le dinamiche esistenti tra più di un personaggio principale per enfatizzare l'importanza dell'inclusività e della diversità.
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Carnival Row ha comunque il merito di concedersi il tempo di far evolvere con attenzione situazioni e personaggi, seppur faticando in più passaggi a causa dei tanti, troppi tasselli che compongono il racconto.
Per mantenere alta l'attenzione gli sceneggiatori, inoltre, hanno fatto ricorso a un paio di svolte inaspettate nel racconto e, soprattutto, a morti inaspettate di cui due, in particolare, hanno un forte impatto emotivo per le circostanze che conducono all'uscita di scena, mentre altre risultano comunque sorprendenti spiazzando brevemente gli spettatori che potrebbero non attendersi degli addii così repentini.
Un cast convincente
Le interpretazioni del cast sono comunque di buon livello, nonostante in più di un'occasione gli attori si ritrovino a dover fare i conti con monologhi fin troppo enfatici e a dei cambiamenti nelle caratteristiche dei personaggi che non sembrano del tutto giustificati e, nell'epilogo, risultano fin troppo stereotipati.
Orlando Bloom riesce a trovare modo di mettersi alla prova, soprattutto nella seconda metà della stagione, facendo emergere i vari lati di Philo mentre cerca di capire il proprio posto nel complesso mondo portato in vita dalla serie e prova a lottare per ciò in cui crede e chi ama. I tentativi del protagonista di capire come accettare la propria identità avrebbero però meritato una maggiore attenzione dal punto di vista emotivo e non basta un flashback o un paio di dialoghi ben costruiti per far capire realmente il conflitto interiore vissuto da Philo.
Cara Delevingne porta in scena con un certo magnetismo una versione di Vignette animata maggiormente dalla rabbia e con una svolta personale che sembra più un modo per andare incontro alle esigenze della "cultura woke" che a un vero scopo narrativo.
Karla Crome ottiene un maggior spazio rispetto alla stagione precedente e convince in particolare nelle interazioni tra Tourmaline e Darius che, in più passaggi, regalano anche un pizzico di leggerezza e ironia alla situazione. Caroline Ford, nella parte di Sophie Longerbane, regala una delle migliori performance delle nuove puntate e dà al proprio personaggio molte sfumature, suscitando non poco dispiacere nel vedere come gli autori hanno gestito le situazioni in cui è stato messo al centro, considerando che la giovane donna, sulla carta, aveva un potenziale davvero interessante all'interno della lotta tra le due fazioni.
Tamzin Merchant costruisce bene i cambiamenti di Imogen, anche se il lato oscuro della donna risulta poco credibile e costruito su basi piuttosto fragili. David Gyasi è invece bravo nel portare in scena il contegno e la determinazione di Agreus.
Dispiace, invece, che lo spazio dato ad Andrew Gower, interprete di Ezra, e ad Ariyon Bakare, che ha la parte di Darius, non permetta una vera e propria evoluzione dei rispettivi ruoli.
Un mondo fantasy che non sfrutta mai totalmente il suo potenziale
A livello visivo Carnival Row può contare su una fotografia in grado di enfatizzare il fascino del mondo creato per il piccolo schermo e la colonna sonora di Nathan Barr è ben calibrata senza risultare troppo invadente, accompagnando in modo efficace i passaggi più drammatici e le scene d'azione.
A deludere, tuttavia, è l'incapacità di sfruttare pienamente gli elementi fantasy del racconto: non basta una nuova creatura raccapricciante, un paio di momenti in cui vengono usati dei poteri sovrannaturali, qualche trasformazione e dei brevi voli per infondere alla serie la giusta dose di "magia" che renda l'universo creato per lo show prodotto da Amazon davvero unico. Il contrasto tra gli spazi della città e la bellezza delle distese verdi e paesaggi spettacolari, ad esempio, avrebbe potuto dare vita a scene e situazioni più affascinanti come accade nelle battute finali.
Con radici fortemente radicate nella realtà quotidiana e in eventi storici ben identificabili nella narrazione fino ad alcuni brutali momenti presenti nell'episodio finale, Carnival Row non riesce mai a prendere il volo realmente, rimanendo così sospeso a mezz'aria e non raggiungendo pienamente i propri obiettivi. Un pizzico di originalità e coraggio in più nell'allontanarsi da situazioni già viste avrebbe forse permesso alla serie di sfruttare tutto il proprio potenziale e portare in vita un universo in grado di lasciare il segno nel panorama televisivo.