Captive State, la recensione
Un semplice ribaltamento di campo crea in Captive State un mondo narrativo interessante e ben esplorato...
Di certo è una storia di resistenza, la Terra è stata invasa dagli alieni e gli stati, capito che non è possibile vincere, si sono arresi, dunque si vive dominati da un governo alieno che succhia risorse al nostro pianeta e seda ogni idea di ribellione con propaganda e violenza. Seguiamo alcune persone coinvolte in una pseudo resistenza e un poliziotto che gli dà la caccia, ma non è chiaro quale sia il loro obiettivo, c’è un piano non chiaro di tirare giù il sistema ma i singoli personaggi non hanno un loro intreccio definito. Ciò che tiene avvinti a questa storia è il mistero dell’invasione, la descrizione della nuova vita in America e l’addentrarsi (come avviene per la prima parte di Akira) in un mondo inedito che ci viene raccontato tramite la sua ordinaria follia.
Non lo fa per mancanza ma perché dilata la narrazione ispirandosi alle serie tv. Nonostante un arco narrativo completo non è difficile immaginare che sia stato pensato per estendersi al di là di un film solo. La maniera in cui gestisce i misteri (usciamo con più domande che risposte) e rimanda la soddisfazione viene palesemente dalle serie tv. Nelle poche informazioni che rilascia esiste l’implicita promessa che più andiamo avanti più ne otterremo.
Accade così che rispetto agli standard dei film cui siamo abituati oggi non si sviluppi una grandissima affezione verso i personaggi che non sono John Goodman (un po’ perché è una star e un po’ perché è l’unico che sembra animato da contrasti, insegue i terroristi ma palesemente non li odia), anche perché Captive State vuole far innamorare il pubblico del suo mondo nel complesso a prescindere dalle singole pedine sacrificabili (i personaggi in lotta contro il sistema sono molti e non stupirà nessuno sapere che non tutti vedranno la fine del film). Non sempre ci riesce e in alcuni punti si soffre la mancanza di un gancio più forte, in altri invece è evidente l’intento non troppo riuscito di mettere in metafora alcuni problemi del nostro presente in un futuro distopico. Non tutto insomma si può dire pienamente riuscito.