Captain Volkonogov Has Escaped, la recensione

Nella Russia comunista un uomo cerca espiazione trovando solo altre pene, Captain Volkonogov Has Escaped è un gioiellino

Critico e giornalista cinematografico


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Captain Volkonogov Has Escaped, la recensione

Un bel film tutto di corsa, in cui capire cosa è accaduto e cosa sta accadendo tra un scatto e l’altro, tra un inseguimento e un nascondiglio precario. Captain Volkonogov Has Escaped è un’operazione di memoria storica condotta come un film d’azione che per raccontare le vittime delle pratiche disumane del regime sovietico passa dalla passione di un carnefice. È per l’appunto il capitano del titolo, membro delle forze di sicurezza, ovvero un coacervo di uomini virili che girano a petto nudo negli uffici, con uniformi colorate e anfibi, giocano a pallavolo in interni da Russia zarista (immagine eccezionale per raccontare cosa sia successo e quale sia il clima) e che ha una terribile crisi di coscienza dopo aver visto gli spettri dei suoi compagni avvertirlo che lo aspettano all’inferno.

Non è chiaro come mai nella Russia sovietica e atea sia così presente nella testa di un ragazzo questa idea religiosa di inferno e paradiso, ma del resto il film è anche pieno di graffiti e piccoli anacronismi. Come molto cinema russo non si fa problemi a piegare il mondo e gli ambienti per raccontare molto di più di quello che il solo realismo può fare. Ci sono ad esempio sale interrogatori e torture arredate come normali uffici ma con il fieno sul pavimento per assorbire il sangue che da sole sono una delle idee visive più potenti per raccontare senza mostrarlo cosa accada lì dentro (ma qualche volta poi qualcosa il film la mostra pure).

Il capitano è effettivamente una scheggia impazzita, recupera una lista dei parenti delle persone che hanno rapito, interrogato, picchiato fino a fargli confessare cose false e va in cerca di loro per spiegargli che non è vero, che i loro parenti scomparsi non sono traditori. Tutto con il resto dei suoi compagni alle calcagna. L’idea geniale è che questa disperata ricerca di un perdono non arriva mai, perché le persone non gli credono, pensano sempre stia facendo il doppio gioco per incastrarli come collaboratori dei parenti in galera.

Sono i fantasmi dei vari Natali di Dickens portati nel mondo reale, esseri umani che non hanno nessuna intenzione di aiutare il capitano e tantomeno di perdonarlo, nemmeno se gli porta una bottiglia di vodka da bere. E se sono gli spettri a metterlo su un altro cammino, sarà alla fine un essere umano vero e reale ad apparire quasi come lo spettro delle macerie che queste torture hanno lasciato (e quindi lo spettro della colpa che sente dentro di sé).
Non ci poteva essere attore migliore di Yuriy Borisov, imposto all’attenzione del mondo con Scompartimento n.6 a Cannes e di nuovo qui a Venezia in un ruolo protagonista in cui splende.

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