Capone, la recensione
Molto restio ad entrare nel vivo e affrontare davvero qualcuno dei molti temi esposti, Capone cerca la confusione ma la trova senza nessuna classe
Josh Trank non solo scrive e dirige ma monta anche, concedendosi di quando in quando stacchi a sorpresa, o passaggi velocissimi in cui si distingue una mano non proprio esperta, né realmente audace nello sperimentare. Eppure il problema principale è proprio il fatto che il montaggio non riesce mai a dare un ritmo a questo film senza eventi, tarato su standard estremamente convenzionali (una grande figura presa in vecchiaia, la demenza senile fatta di visioni e personaggi che in realtà non sono lì) che si pretende portino addirittura a dei colpi di scena.
Sembra la sua paranoia il punto centrale. Ma non lo è. Sembra il suo tesoro nascosto e la ricerca di questo da parte di tutti quelli che gli girano intorno. Ma non lo è davvero. Forse sono i figli e il suo difficile rapporto con loro. E invece no. Ad un certo punto è anche suggerito che forse il vero perno potrebbe essere la bancarotta, cioè il progressivo e lento perdere tutti i propri beni per un uomo per il quale questi rappresentano tutto (come le statue romane con inserti d’oro simulacri di un passato pieno di desiderio di comando e potere), ma nemmeno quello viene davvero messo al centro. Passiamo da un perno all’altro con il medesimo atteggiamento spaesato di Capone senza tuttavia mai essere nei suoi panni.
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