Capodanno a New York - la recensione

Tantissimi attori, pochissima trama e un vortice di storie che si alternano ad alta velocità. Non c'è nulla di comune se non il capodanno. Come i nostri cinepanettoni...

Critico e giornalista cinematografico


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Pieno di attori da sbandierare nel trailer e nella locandina, gestito a episodi tutti connotati dall'unità di tempo intorno ad un evento catalizzante, finalizzato alla risata (!?!?) che più facile non si può, pensato per cavalcare qualsiasi moda/trend/modernismo percepito dalla società e infine decisamente "usa e getta", pronto per essere dimenticato dopo il suo (mica tanto lauto) incasso Capodanno a New York è palesemente il cinepanettone d'America. Al netto delle volgarità ma al lordo della sciatteria.

Secondo capitolo della facile e fortunata serie che Garry Marshall sta orchestrando lungo le direttrici: festa sentimentale e tanti attori famosi, Capodanno a New York fa esattamente il medesimo lavoro che Appuntamento con l'amore faceva per S. Valentino, ovvero ratificare il sentimentalismo abbinato alla festività pagana, reiterarne qualsiasi stereotipo al fine di dare al pubblico il raddoppio semantico che cerca (è S. Valentino vado a vedere un film su S. Valentino, è fine anno vado a vedere un film su Capodanno).

Si tratta dunque di film su una festività e non su personaggi, su un mood creato ad arte e non su un intreccio particolare. Un continuo alternarsi di microstorie che perde di vista immediatamente il senso generale (non c'è a meno che non vogliamo considerare "ognuno cerca qualcuno da amare") per diluirlo nelle singole banalità.

Passi pure lo smielatissimo sentimentalismo, passi la sciatteria delle storie per nulla curate (ma Sarah Jessica Parker non aveva detto che ha sempre passato la fine dell'anno con la figlia in casa? E perchè allora l'anno prima stava con Josh Duhamel al ristorante??) e passi l'umanesimo da Frank Capra. Quello che però resta intollerabile in questi film di Marshall è la pretesa che il pubblico debba recepire (e si debba emozionare per) sentimenti tirati in ballo solo a parole, senza la minima costruzione. Ogni microscena ha un suo picco sentimentale della durata di pochi minuti, poi si passa alla seguente, ma ognuna è girata come se fosse il culmine intenso di chissà quale climax. Espressioni intense, musica che sale e primi piani continui non sostenuti da nulla. Il medesimo modus operandi della messa in scena delle soap opera più spietate.

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