Capitan America: Bianco, la recensione

Abbiamo recensito per voi Capitan America: Bianco, attesissima storia di Jeph Loeb e Tim Sale portata in Italia da Panini Comics

Caporedattore, ex grafico e illustratore, appassionato di tutto ciò che è narrazione per immagini.


Condividi

La morte è una delle paure ancestrali che da sempre accompagna gli esseri umani. Nel corso dei millenni l’uomo ha provato in tutti i modi a sconfiggerla, esorcizzarla o allontanarla. Allo stesso modo cerca fortemente di combattere il lutto che ne consegue, in un percorso interiore che passa attraverso le cinque fasi teorizzate da Elisabeth Kübler Ross. Questo processo di accettazione e superamento del distacco da una persona cara, sia essa un parente stretto o un amico, è al centro di un ciclo di storie firmate dallo scrittore Jeph Loeb e dall’artista Tim Sale che ha come protagonisti i principali eroi della Marvel. La tetralogia è composta da Devil: Giallo, Spider-Man: Blu, Hulk: Grigio, splendidi affreschi in cui ognuno di questi personaggi doveva fare i conti con la morte, e conseguente assenza, di figure femminili indissolubilmente legate alle loro vite (Karen Page, Gwen Stacy e Betty Ross); mancava ancora un ultimo tassello, quel Capitan America: Bianco, annunciato nel 2008 ma di cui, visti i tanti progetti successivi in cui sono stati impegnati poi gli autori, non si era saputo più nulla. La storia, fortunatamente, ha visto la luce nel 2015, e ora giunge nelle nostre mani in questa splendida edizione firmata Panini Comics.

La storia di Capitan America, è ormai leggenda: un ardente spirito patriottico e un attaccamento alla sua nazione non bastano al gracile Steve Rogers di arruolarsi nell’esercito degli Stati Uniti d’America. La sua caparbietà e determinazione, però, lo renderanno idoneo a partecipare a un programma per lo sviluppo del misterioso siero del supersoldato, in grado di potenziare le abilità umane oltre ogni misura e offrire alle truppe a stelle e strisce l’arma con cui scardinare il giogo nazista. Cap prenderà parte alla Seconda Guerra Mondiale e guiderà i suoi commilitoni alla vittoria, evento che avrà un sapore decisamente amaro. Durante gli anni di addestramento, infatti, si creerà un rapporto di amicizia profonda con il giovane Bucky Barnes, che ben presto diventerà la spalla della Sentinella della Libertà. Al termine di una cruciale operazione militare, però, i due sacrificheranno le proprie vite per assicurare la definitiva sconfitta dell’esercito tedesco. Sappiamo bene che entrambi i personaggi ritorneranno sulla scena: Capitan America resterà ibernato nei freddi mari del nord dove anni dopo verrà recuperato e riportato in vita dagli Avengers; Bucky verrà invece lobotomizzato e trasformato nel Soldato d’Inverno. La storia scritta da Loeb parte proprio dal momento del risveglio di Steve in un’epoca non sua, dal momento in cui realizza che, nonostante i suoi innumerevoli sforzi, il suo fedele amico è morto.

Torniamo, quindi, alle prime avventure di Cap della Silver Age, quelle scritte da Stan Lee per le matite di Jack Kirby, alle radici di un personaggio leggendario catapultato nel presente, trasformato dopo la conclusione di un conflitto che ha segnato l’umanità nel profondo. Ritroviamo uno Steve Rogers spaesato e fuori luogo, viaggiamo nelle sue riflessioni, nella sua approfondita analisi psicologica che va a scavare nel baule dei ricordi. Insieme al Capitano Rogers ripercorriamo i primi giorni all’accampamento a Forth Leigh, in Virginia, l'operazione parigina per salvare la vita del Sergente Nick Fury e dei suoi Howling Commandos e la missione suicida contro il Teschio Rosso per salvare il Louvre. L’introspezione lo porta a rivivere tutti quegli attimi, attraverso i gesti e le frasi che li caratterizzarono, cercando di cogliere le possibilità mancate, le occasioni perse ma anche una via di salvezza. Una contrattazione con i sensi di colpa che rappresenta uno sforzo sofferto, intenso, a tratti inutile lungo il cammino che conduce all’accettazione della scomparsa, del vuoto incolmabile.

Questo viaggio nei meandri della memoria permette al lettore di cogliere ulteriormente la vera natura di Capitan America. Se il giallo rappresenta la codardia, il blu la profondità e il grigio quella zona di mezzo tra posizioni antitetiche, il bianco è il candore, la purezza dell’animo di Steve. Scorrendo le pagine di questo volume abbandoniamo tutte le velleità di trasformare lo scudo stellato in un simbolo di propaganda, lotta, integrazione che stanno caratterizzando il ciclo di storie contemporanee, per godere di quelle ambientazioni originali che hanno dato il via alla creazione del mito di questo paladino della giustizia. E in questi episodi la sua natura buona, limpida, cristallina si staglia contro l’oscurità delle tenebre gettate sul mondo dai gerarchi nazisti, in un sacrificio stoico per la salvezza del genere umano. Loeb è bravo nel realizzare la più classica delle storie a fumetti, tipica della Golden Age dei comics, in cui l’eroe arriva per salvare i buoni, vittime di una situazione dalla quale sembrerebbe non esserci più uscita. Ritroviamo i fasti delle storie di Joe Simon, Stan Lee, Jack Kirby, John Romita Sr. ma Loeb non si limita a scrivere un sentito omaggio a quell'epoca d'oro della narrativa disegnata, preferendo conferire una profondità e un’autorialità alla storia che rendono questo ultimo capitolo della tetralogia dei colori l’ennesimo capolavoro firmato con Sale.

Gli omaggi non mancheranno nemmeno nel comparto grafico del volume, con il lavoro di Tim Sale che richiama ora Jim Steranko, ora Jack Kirby. L'artista preferisce soluzioni a tutta pagina o, comunque, tavole che contengano poche vignette al fine di esaltare la plasticità e la monumentalità delle pose, il dinamismo degli scontri. Questo stupendo affresco viene esaltato dalle superbe colorazioni pastello di Dave Stewart, che accentuano ulteriormente l’aura di vissuto, di passato, di storicità.

Capitan America: Bianco è una splendida opera che saprà riconciliarvi con il piacere della lettura. L’arte travalica le divisioni di genere per sublimarsi nella profondità, nell’intensità e nella bellezza di queste pagine.

Continua a leggere su BadTaste