[Cannes] Sulla Strada, la recensione

Dopo anni di attesa finalmente On the Road di Walter Salles si mostra a Cannes: un film lungo e noioso che non riesce a far rivere l’anima del romanzo...

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Sono passati sessantuno anni da quando Jack Kerouac scrisse le ultime parole di quello che sarebbe diventato il suo romanzo più celebrato (cinquantacinque se si pensa a quando fu pubblicato per la prima volta), simbolo di una generazione in cerca della propria identità e per questo soprannominata dallo stesso Kerouac “beat”, ovvero battuta, sconfitta (siamo a fine anni ‘40, in pieno dopoguerra), che nel tempo ha finito per rappresentare la sintesi anche di parole come beatitudine (nelle droghe e nel misticismo) e battito-ritmo (vedasi la musica jazz del tempo).

Sulla Strada si chiudeva con un poetico paragrafo dedicato allo scrittore Neal Cassidy (nel libro chiamato Dean Moriarty), compagno di molte delle avventure che Sal (lo pseudonimo di Kerouac) racconta nel libro, che da solo racchiudeva quel senso di smarrimento che accompagnava molti giovani dell’epoca all’inizio di una nuova era senza punti di riferimento:

E così in America quando il sole tramonta e me ne sto seduto sul vecchio molo diroccato del fiume a guardare i lunghi lunghi cieli sopra il New Jersey e sento tutta quella terra nuda che si srotola in un'unica incredibile enorme massa fino alla costa occidentale, e a tutta quella strada che corre, e a tutta quella gente che sogna nella sua immensità, e so che a quell'ora nello Iowa i bambini stanno piangendo nella terra in cui si lasciano piangere i bambini, e che stanotte spunteranno le stelle, e non sapete che Dio è Winnie Pooh?, e che la stella della sera sta tramontando e spargendo le sue fioche scintille sulla prateria proprio prima dell'arrivo della notte che benedice la terra, oscura tutti i fiumi, avvolge le vette e abbraccia le ultime spiagge, e che nessuno, nessuno sa cosa toccherà a nessun altro se non il desolato stillicidio della vecchiaia che avanza, allora penso a Dean Moriarty, penso perfino al vecchio Dean Moriarty padre che non abbiamo mai trovato, penso a Dean Moriarty.

Inserisco questa lunga citazione perchè da sola riassume al meglio quel senso di smarrimento e di attaccamento alla terra intesa non solo come società americana, ma anche di immenso territorio alle spalle, che però manca nel film di Walter Salles.

Invece di studiare e ricreare l’america del tempo, il regista brasiliano dirige una sorta di I diari della motocicletta numero 2. Complice è anche il suo fido sceneggiatore Jose Rivera che aveva anche scritto il film sul Che Guevara prima che diventasse Guevara. Stavolta al centro delle scene ci sono Sal e Dean, ovvero gli pseudonimi di Kerouac e Neal Cassidy, impegnati soprattutto a fare baldoria in giro e non certo a vivere e bruciare la vita come viene, domandandosi però al contempo come e se possa procedere così la loro vita. Salles non trova un vero filo narrativo e dà il via a due ore e venti che al di là del taglio legittimo di molti personaggi e situazioni del libro (un film deve potere essere un’altra cosa) non riesce prima di tutto a trovare la propria anima.

Di positivo c’è forse giusto l’interpretazione di Garrett Hedlund nel ruolo di Dean, un volto ed un corpo che senza dubbio bucano lo schermo. E se Kristen Stewart mostra più centimetri di pelle qui che nei finora tre Twilight, senza comunque impressionare per recitazione, poco e nulla fanno oltre al normale timbro del cartellino i vari Kirsten Dunst, Viggo Mortensen e Sam Riley.

 
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