[Cannes] No, la recensione

Forse il film più audace e riuscito di tutto il Festival si porta a casa meritatamente un premio importante. Una distribuzione italiana sarebbe auspicabile...

Critico e giornalista cinematografico


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Il vincitore della Quinzaine di quest'anno è anche uno dei film più stimolanti ed interessanti in assoluto tra quelli visti a Cannes. Nel raccontare la nascita e lo sviluppo della campagna pubblicitaria a favore del "NO" al referendum per il proseguimento del governo Pinochet in Cile, Larrain scegli un registro visivo vintage e ricercatamente lo-fi. In linea con l'estetica Instagram, che utilizza il massimo del ritocco per ottenere il minimo della qualità e aumentare le sensazioni legate alle immagini, No è tutto girato imitando la fotografia e la definizione (ma anche il frame rate) della tv cilena degli anni '80 (più facile da vedere che da spiegare). In alcuni momenti utilizzando anche soluzioni di regia e visive di quel periodo.

Il risultato è un period movie in cui i costumi e le pettinature non stonano con i colori delle immagini, in cui il materiale di repertorio è visivamente indistinguibile da quello di finzione e che cerca di raccontare quel momento storico a partire dalla memoria audiovisiva, cioè per come lo ricordiamo oggi e dalle immagini che rimangono di esso.

Nonostante non disdegni il prendere di petto angherie e soprusi del regime di Pinochet o la paura e la tensione all'indomani di un voto determinante, No cerca comunque di ricalcare l'idea della campagna pubblicitaria che racconta, ovvero utilizzare l'humor e una certa forma di ottimismo per contrastare l'orrore. E in un'ottica simile acquista ancor più forza e potenza l'interpretazione controcorrente di Gael Garcia Bernal che con poche espressioni dà vita ad un pubblicitario geniale, il creativo che ha contrastato il sistema con l'umorismo ma anche un uomo dolente e sofferente, distrutto dalla politica, dal lavoro e dalla vita sentimentale, che ha tutto da perdere e punta sulla forza dell'umorismo.

Certo No ricorre anche ad una buona dose di ruffianeria, calca la mano sul piacere della lenta e vittoriosa conquista dei diritti civili e sulla vittoria dei migliori sui peggiori ("Gli artisti li hanno tutti loro a noi è rimasto il fondo del barile" commenta ad un certo punto il creativo del fronte avverso), tuttavia Larrain sa bilanciare molto bene esigenze commerciali, conquista del pubblico e rigorosa etica personale. Così di volta in volta gli spot anni '80 modello Coca Cola sono espediente comico, crescendo sentimentale e pura ridicolaggine. Un lavoro sulle immagini e su loro valore prettamente estetico e superficiale come non lo si vedeva da anni.

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