[Cannes] The legend of love & sincerity, la recensione

Fatevi largo tocca al genio. Programmato nella sezione mezzanotte anche se con un musical (quando si dice "basta il nome"), Miike si conferma uno dei più grandi maestri di sempre...

Critico e giornalista cinematografico


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Finalmente amato, invitato e coccolato con regolarità da quasi tutti i festival internazionali che contano Takashi Miike sta avendo il riconoscimento che ha sempre meritato. Dal canto suo però il regista giapponese non cambia politica e continua a girare i suoi circa 3 film l'anno, spaziando tra generi, impegni e soluzioni diverse. Sempre pensando un cinema fuori dagli schemi, contaminato dal suo umorismo a prescindere dal tono generale della storia, e sempre girato senza dargli troppa importanza, come la sua filosofia di vita impone, ma con il massimo del rigore e della precisione.

Intanto i suoi film in Italia arrivano sì e no uno ogni dieci e quando un giorno sarà venerato tra i più grandi registi di sempre, sarà impossibile recuperare la sua filmografia che, ad oggi (a 50 anni), vanta 88 film da regista.

Quello presentato a Cannes, The legend of love & sincerity (Ai To Makoto), è un musical che fonde lotta di classe, amori adolescenziali e umorismo, e va oltre l'idea di prendere in giro il cinema musicale per sconfinare in una presa in giro del rapporto che il Giappone ha con la propria cultura. La storia viene da un manga omonimo degli anni '70, già diventato film tre volte in quegli anni, mentre lo spirito è tutto Miike.

Il regista come al solito non ha regole e non pone limiti alla propria provvidenza. Inizia con un segmento animato, poi si dedica al musical puro, poi approfondisce la trama e nel finale comincia la mattanza. Lungo tutta la pellicola rimane immutata una cura per le scenografia, l'illuminazione e la gestione degli spazi e dei corpi degli attori in scena che sono il pregio maggiore del film. Perchè se il nichilismo del regista emerge sempre uguale in tutte le sue produzioni, in questa è la minuzia con cui riprende un corpo per suggerire altro dal personaggio che interpreta a sorprendere. La cosa è particolarmente evidente in Gumko, assurda capobanda di un liceo disastrato, maschiaccio redento che si muove e assume pose da j-horror in momenti che nulla hanno a che vedere con l'orrore e senza che ci siano rimandi diretti al genere, solo per il gusto e il piacere dell'ibridazione che ne deriva.

Ma al di là delle spirali cinefile di un film diretto con una libertà espressiva e una capacità di rompere qualsiasi regola, pur rimanendo nei confini del cinema magistrale, fluido, digeribile e commerciale, The legend of love & sincerity (Ai To Makoto) è anche un'opera che rimesta nella mitologia tutta nipponica della high school, oscillando tra cinema, fumetto, attraverso un sonoro usato in chiave espressiva.

Il risultato è che Takashi Miike sembra poter e saper fare qualsiasi cosa, per lui sembra che le normali regole e i normali canoni non esistano e di colpo sia impossibile far deragliare il film, a prescindere dalle esagerazioni profuse. Questa noi la chiamiamo "maestria".

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