Cannes 72 - L'età giovane, la recensione

Interrotto prima di entrare nel vivo Young Ahmed con la sua stessa struttura afferma l'impossibilità di risolvere il problema ma proprio per questo rimane un film deludente

Critico e giornalista cinematografico


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Inizia benissimo L'età giovane, con tutto un pregresso su cui deve aggiornarci, un passato recente (gli ultimi due mesi) in cui il protagonista, per l’appunto Ahmed, è cambiato. Lui è un ragazzo di circa 15 anni, musulmano di famiglia non eccessivamente osservante, che invece si è molto interessato alla religione grazie ad un Imam. Non dà la mano alla sua professoressa adesso, critica la madre perché beve alcolici e dà della puttana alla sorella per come si veste. Si sta radicalizzando, tutti sono preoccupati, lui è ottuso e non vuole sentire ragioni, non risponde, non parla e non si confronta. Ascolta solo l’imam.

Le carte sul tavolo sono perfette, come lo è anche l’idea di non farci vedere il processo di radicalizzazione ma iniziare a raccontare quando questo è già avvenuto, tutti se ne stanno accorgendo ed è complicato rimediare. Ahmed è iniziato alla jihad dal suo Imam e vive nel culto del cugino morto per questa causa. Talmente è ottuso da essere un personaggio odioso, antipatico e scostante. Materia infiammabile che il film porta avanti con grandi idee (compirà un’azione imprevista e ne subirà le conseguenze) e che quando è il momento di mettere in crisi per dare alla storia un arco finisce. Nel momento in cui la miccia è accesa partono i titoli di coda.

Questo film che sembra promettere tantissimo finisce esattamente nel momento in cui deve trovare il proprio senso, quando termine di raccontare le premesse e tutti gli eventi stanno per venire al pettine. Ci sono molte possibili spiegazioni per questo, nessuna delle quali è davvero soddisfacente perché il risultato rimane un film monco. Non c’è soluzione è quello che Young Ahmed finisce per dire ma sono conclusioni di testa per farsi una ragione del fatto che il film rinuncia alla gara quando si entra nel vivo.

Questo è tanto più deludente se si considera che il valore dei film dei fratelli Dardenne è sempre stato il valore delle domande che sono in grado di porre. Domande complicate dalla soluzione quasi impossibile, poste tramite situazioni raccontate benissimo, mescolando le pulsioni dei sentimenti ai doveri della ragione alle regole della società. Più che narratori di storie sono narratori di domande e qui ce n’erano un milione di possibili che però scelgono di non iniziare nemmeno a porre.

Il giovane Ahmed, radicalizzato ad un passo da casa, invasato dalla religione, ottuso in tutto si è messo contro il suo mondo e sembra non essere disposto a cambiare idea per nulla al mondo, solo una persona forse ha creato uno spiraglio e l’ha messo in crisi ma non sapremo mai cosa poteva accadere perché il film è finito. Continuiamo ad odiare questo povero ragazzo che subisce di tutto per la sua ottusa mentalità piegata (in soli due mesi!) da un imam e non abbiamo visto un bel film.

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