Cannes 72 - Too Old to Die Young, la recensione degli episodi 1x04 e 1x05

Too Old to Die Young è un puro distillato del cinema di Nicolas Winding Refn, è Los Angeles e l'America viste da uno straniero. E non ha nessuna voglia di essere un prodotto mainstream

Critico e giornalista cinematografico


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C’erano forse dubbi che Nicolas Winding Refn alla sua prima serie tv, anche prodotta dalla sua società, avrebbe realizzato qualcosa di spiazzante, imprevedibile e unico?
A prescindere dal gradimento Refn si pone sempre come obiettivo di creare un’esperienza unica, questo ha portato anche a clamorosi tonfi ma ha formato uno stile e una personalità potentissimi. Abile nel marketing della propria figura tanto quanto nella creazione e nell’esplorazione di paesaggi visivi e sonori, questo cineasta danese che non è più stato lo stesso da quando è arrivato in America ora ha scritto e diretto una serie su Los Angeles (anche The Neon Demon parlava di questa città, ma Too Old to Die Young lo fa con una decisione molto maggiore).

C’è un poliziotto che lavora a Los Angeles, parla poco e interagisce ancora meno con i suoi colleghi, fascisti per presa di posizione, per allineamento e per ideologia. Lui però opera non solo di giorno ma soprattutto di notte, senza distintivo si cala nei bassifondi veri e fa giustizia sommaria di chi pensa meritarselo. Giustizia violenta, senza processi e senza difese. Va uccide ed esce. Il più delle volte in silenzio.

Non è difficile riconoscere l’eroe-Refn, quello prima incarnato da Ryan Gosling e ora da Miles Teller con la medesima capacità di “essere”, cioè di occupare un’inquadratura senza parlare ma con un peso specifico indubbio. Parte del segreto di questa strana maniera di essere al centro di una storia sta nel cinema di Refn, in come pone i personaggi nell’inquadratura, e parte sta nella capacità degli attori di incombere su tutti gli altri che condividono la scena. Elle Fanning reggeva poco questo peso, Miles Teller invece sembra perfettamente a suo agio con una battuta ogni 10 minuti, perfettamente capace di recitare immobile (e lo fa, recita da fermo) per la maggior parte di ogni scena.

Lunghe conversazioni portate avanti con una calma irreale, risposte che arrivano 3-4 secondi dopo le domande, sguardi e paesaggi semi-vuoti. Il marchio è quello di Solo Dio Perdona, neon e mani, violenza e attesa, ma dilatato in un medium (quello televisivo) che non lo chiederebbe, anzi che di solito funziona al contrario, con tanti eventi e tempi serrati.
Forse anche per questo i momenti migliori di questi due episodi sono quelli che esplorano Los Angeles con il sottofondo delle sue radio, un luogo di modernità e simbolo di un progresso che forse non è tale, in cui sembrano abitare più neon che esseri viventi.

Miles Teller giustizia criminali, si rivolge contro dei pedofili e poi va a caccia di un gruppo di stupratori seriali che riprende i propri atti sessuali per il mercato dello snuff porn. La caccia lo porterà nel deserto nell’unico momento dinamico delle due puntate (un inseguimento pieno di idee, unico, mai banale e interessantissimo che fa impazzire di rabbia al pensiero che questo cineasta così capace scelga di non essere così per il restante minutaggio). Addirittura in apertura di questo inseguimento condotto lungo spazi incredibili per un europeo, le auto sono una dietro l’altra per tutta la notte, in autostrada e poi nel deserto, come se si sfidassero contro il sonno o a chi finisce per ultimo la benzina ma con una tensione fortissima.

In quel momento Refn infila di sottofondo Oh Mandy di Barry Manilow. Inizialmente il contrasto fa sorridere ma più il brano avanza sulle immagini in dissolvenza incrociata di inseguito e inseguitori, dell’asfalto notturno illuminato dai fari come in Strade Perdute di David Lynch, più vediamo i faccioni dei personaggi come nella cartellonistica di propaganda, più è evidente che Refn riesce a rendere per suggestioni la sua idea di America: la vastità intorno agli esseri umani, l’immaginario pubblicitario con un twist di propaganda, quello cinematografico e una strana musica rilassante che invita alla positività. Un intero popolo in meno di un minuto. Letteralmente incredibile.

Non suonerà sorprendente che l’unico possibile paragone nel mondo della serialità è la terza stagione di Twin Peaks (per rapporto lasco con il racconto tradizionale, per ritmo e ricercatezza).

Per amare Too Old To Die Young insomma non si deve avere troppa voglia di trama (molto molto semplice e schietta, un pretesto per mettere in moto l’eroe-Refn nella notte) ed è invece necessario essere appassionati dell’incredibile capacità di creare inquadrature di Nicolas Winding Refn. Bisogna essere curiosi non tanto di cosa accadrà (anche se i cliffhanger ci sono) ma di quale invenzione popolerà l’inquadratura successiva.
Refn più che mai qui sembra creare situazioni più per poter avere il privilegio di guardarle ed esplorarne il paesaggio sonoro che per raccontare davvero una storia.

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