Cannes 72 - The Lighthouse, la recensione
Miti e mostri marini nella testa di due guardiani del faro lontano da tutto, The Lighthouse tenta l'horror psicologico ma trova molto poco
Aperto come Ai Confini Del Mondo di Michael Powell, con un’isola ingrata, un mare in tempesta, vento e uomini che la percorrono a piedi cercando non di piegare l’ambiente selvaggio alle loro esigenze di vita ma di vivere in accordo a quelle asperità, si tratta di una storia di custodi del faro, non diversa per epoca e tipi di personaggi da The Vanishing, in cui due uomini uno più anziano ed esperto e uno più giovane e ingenuo devono convivere per 4 mesi lontano da tutto senza impazzire. Non accadrà e la direzione che prenderà la follia sarà quella delle visioni e delle pulsioni elementari che diventano violenza, sopraffazione, terrore e metafore psicologiche. Ci sono donne ingannevoli, sesso dannoso, tentacoloni penetranti, masturbazioni davanti al faro e un desiderio di connessione con tutto questo mondo di sesso omo ed eterosessuale che non è mai dichiarato ma sempre implicato. Ogni suggestione di lotta, uccisione e amore va a finire lì.
Willem Dafoe domina Robert Pattinson, lo fa lui e lo fa il suo personaggio, detta tempi e modi, si trasforma in Poseidone quando serve e si scioglie in dolcezze e ironie quando è impossibile aspettarselo. Di fatto crea sia un ritratto che rimanda all’iconografia del tempo, sia un rapporto che somiglia ad una relazione sentimentale, fatta di vicinanza e lontananza, di furiose e tempestose litigate seguite da una pace tenera. Tutto quello che ha senso nel film viene da lui ma non basta.