Cannes 72 - The Gangster, The Cop, The Devil, la recensione
Con un gigantesco Ma Dong-seok, The Gangster, The Cop, The Devil parte dal consueto assunto del cinema d'azione asiatico (lo scambio di ruoli) e lavora benissimo sui personaggi
Un serial killer ammazza vittime a caso, le tampona in strada e poi le accoltella. Una di queste vittime è un boss mafioso grosso e pericoloso, così gigantesco che sopravvive e per poco non fa fuori il killer. L’evento però è un problema per la sua organizzazione, se non lo trova e non lo elimina fa la figura del debole. Lo stesso problema ha la polizia che brancola nel buio. L’unica è allearsi.
La caccia urbana tra pioggia, quartieri popolari, fughe sui tetti e poi inseguimenti nei fabbricati è un gioiello di urla e calci in faccia, arti marziali molto poco raffinate ma incredibilmente efficaci, coreografie medie da filmetto burino (però che divertimento!) che non sbagliano uno stacco di montaggio. Su tutto trionfa lui, Ma Dong-seok, boss mafioso dalla stazza degna di Bud Spencer e gli schiaffoni adeguati (niente calci per lui, pochi pugni, soprattutto grandi pizze in faccia). Al di là della stazza e di una presenza scenica da Kingpin, Ma Dong-seok è il personaggio di maggiore fascino del film, regge tutto e ne attira ogni sguardo. Gli altri sono i consueti archetipi, lui è modello a sé.
A questo film basta una porta sfondata da Ma Dong-seok in un momento e in un scena in chiunque altro si sarebbe giocato una grande suspense e magari una soluzione di intelletto, raffinata e originale, per spazzare via ogni dubbio.
Nel quarto atto poi andrà in scena qualcosa di diverso, strano e inusuale per noi. Il finale di The Gangster, The Cop, The Devil non è di quelli mondialisti e da esportazione, è anzi estremamente coreano, giustizialista e duro, pura serie B il cui obiettivo primario è la soddisfazione degli istinti più bassi del pubblico. Ci può suonare strano ma è esattamente la rappresentazione del proprio mondo e della propria società.