Cannes 72 - Portrait of a Lady on Fire, la recensione
Silente, garbato, ben costumato ma con addirittura una pretesa di ribellione, The Portrait of a Lady on Fire sfiora la truffa e non ha niente di tutto quel che di bello aveva fatto sperare Celine Sciamma
Tutte le convenzioni sociali, i ruoli e le distanze che andavano rispettate all’epoca ancora una volta si traducono in regole e distanze, falsità e cortesie del film.
Da Celine Sciamma (regista di Tomboy e Diamante Nero) era davvero lecito aspettarsi di più. Per quanto sarebbe stato impossibile pretendere da lei qualcosa di carnale, stordente e vertiginoso, almeno rispettare e confermare le capacità viste negli altri film sarebbe stato auspicabile. Invece The Portrait of a Lady on Fire sembra desiderare tanto di essere come gli altri ad ogni svolta, sembra bramare il piccolo ghetto del cinema per signore con in più la pretesa di essere mascherato da operazione sottilmente punk, con le sue ragazze ribelli e il sesso (mai mostrato e sempre sotto le coperte) lesbico. L’intento è sempre lo stesso: sopprimere e nascondere i sentimenti per farli passare con forza maggiore tramite piccoli dettagli (come quel numero di pagina indicato alla fine, l’unico espediente riuscito). L’esito invece è quello troppo frequente della freddezza intellettuale e della pretesa che raccontare i sentimenti a parole equivalga a farli provare al pubblico.