Cannes 72 - Matthias & Maxime, la recensione

La storia di due amici che non sanno se la loro è amicizia o attrazione in Matthias & Maxime è raccontata come un sentimento di cui nessuno si accorge. L'esperimento non funziona del tutto

Critico e giornalista cinematografico


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Xavier Dolan è l’unico cineasta nella storia del cinema in cui convivono senza fatica e contraddizione sia l’ingenuità sentimentale delle emozioni estreme di un adolescente che la maturità artistica di un 50enne. Ha ormai 30 anni ma il suo cinema rimane l’unico in grado di collegare lo stordimento giovanile alla temperanza matura.

Matthias & Maxime ha uno spunto da teen movie di Netflix. Due amici d’infanzia, legati da sempre si devono baciare per un corto della sorella di un altro amico del gruppo. Gli è già capitato diversi anni prima, roba innocente. L’evento però cambia tutto, qualcosa di fatto in teoria per finta sconvolge rapporti, vite, umori e tensioni a pochi giorni dalla partenza per l’Australia di uno dei due.

A differenza di un teen movie tuttavia questi smottamenti avvengono ad un livello più profondo di quello che è possibile vedere, rimangono nascosti a lungo e lavorano di fino per tutto il film. Forse troppo di fino.
Matthias & Maxime è fatto per accumulare una grande tensione e farla sfociare negli ultimi 40 minuti. E proprio questo è il suo problema.

Benché sia chiaro l’intento di rimandare e non affrontare una pulsione che scava dentro i personaggi senza che lo lascino vedere, che influisce così in profondità nei loro atteggiamenti da diventare evidente solo quando l’accumulo è insostenibile, il risultato è che i personaggi a lungo non sono raccontati. Ad essere raccontato semmai è il mondo intorno a loro, le loro famiglie e i loro problemi, senza dirci molto su chi sono o cosa gli accade. Non è un errore ma esattamente l’intento del film: giungere ai sentimenti con la stessa lenta maturazione di chi non si accorge di averli provati a lungo. Non a caso nessuno dice niente sul loro rapporto e cosa sia successo, tutto rimane nei non detti e negli sguardi. E sono bravissimi Gabriel D’Almeida Freitas e lo stesso Xavier Dolan (anche se non ha il fisico e la faccia per il suo personaggio) perché noi lo capiamo lo stesso. Tuttavia non basta. Non è sufficiente per farne la pietra angolare della tensione di tutto il film.

Solo negli ultimi 40 minuti delle due ore del film la contraddizione esploderà con lo stile di Dolan con la sua passione per il linguaggio del cinema adolescenziale fatto di scene madri e invasioni sentimentali, canzoni pop e sottolineature. Tutte insieme capiremo il senso della partenza per l’Australia (è un conto alla rovescia il movimento contrario di È Solo La Fine Del Mondo, in cui il protagonista arrivava invece di partire), il senso della grande voglia rosa sul suo volto (sembra non esistere per nessuno ma è lì per l’unico momento in cui è menzionata) e l’accumulo di tensione cui abbiamo assistito. Ma è troppo tardi.

Anche una scena molto bella con i bassi dei tuoni, che sembrano onde del mare interiore dei personaggi, e la consueta idea accattivante che per giungere all’amore si debba per forza passare per un odio di uguale intensità non basteranno a dare al film la grandezza che sogna, fermandolo poco prima.

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