Cannes 72 - Il Traditore, la recensione
Per metà uno dei film più commerciali di Belocchio, Il Traditore incrocia cinema di mafia e di antimafia addosso al corpo di Pierfrancesco Favino
Questo che per tutta la prima metà è sicuramente il film con le maggiori concessioni al cinema commerciale girato da Marco Bellocchio, molto più concentrato sui fatti che sui personaggi, nella seconda parte si appassiona a processi e confronti, abbandona il cinema di mafia per abbracciare quello di antimafia. Insulti tra pentiti, battibecchi con il pubblico ministero e momenti tra il significativo e il carnale (la bocca cucita realmente affiancata a rimostranze da scuola media messe in piedi dai pentiti). È la pornografia del processo, una visione così ravvicinata da sottrarre qualsiasi possibile epica al suo racconto e anzi abbassarlo a battaglia dialettica da poco. Non sono i processi del cinema ma quelli della televisione, ne hanno anche la messa in scena più essenziale. Lunga, larga e verbosa la seconda parte scambia un po’ di istintività per un po’ di razionalità perdendo di mordente.
E se si esclude una prima scena di grandissima inventiva, questa strada unica passa per Pierfrancesco Favino. Ogni snodo, ogni suggestione, ogni dettaglio di Buscetta e ogni elemento di messa in scena che lo riguarda avvengono addosso a lui, che di rimando offre una prestazione da attore-autore.
Tommaso Buscetta, il pentito che non si percepisce come gli altri, di fatto non lo è, non somiglia a nessuno degli altri mafiosi, non si muove come loro, non parla come loro e sembra venire da un altro tempo e un'altra epoca. E ancora una volta è addosso a Favino che si crea quest’alterità.
Quello che probabilmente è il più instancabile e audace degli attori italiani assieme a Bellocchio ha creato un’interpretazione che guida tutto un film. Capiamo caratteri, sogni, aspirazioni e idiosincrasie dalle incertezze o dalle violenze della voce di Favino, capiamo a cosa credere e a cosa forse è meglio non credere dal suo linguaggio del corpo. Capiamo addirittura che tipo di stima e soggezione esistesse verso Giovanni Falcone dal fatto che Favino è capace di tenere da parte una parlata particolare, una che non usa da nessun’altra parte se non negli interrogatori. Ripulita, stentata, troppo corretta e un po’ falsa non è solo una modifica di un accento, è proprio la voce stessa del desiderio di approvazione.